La città moderna è il luogo in cui diventa manifesto lo strappo e insieme la tensione che divarica i due poli intorno ai quali si dipana l’esistenza umana: da una parte, l’interiorità (Io, coscienza, il vissuto individuale), dall’altra, l’esteriorità (Noi, collettività, la vita sociale).

QUESTA DIALETTICA, intesa come nesso di contrapposizione e correlazione al contempo, tra l’individualità come spazio interno e la socialità come spazio esterno, è venuta gradualmente rivelandosi nella modernità e poi platealmente nell’età contemporanea, come rilevato, con efficacia filosofica, da uno dei capiscuola della sociologia come scienza sociale indipendente, Georg Simmel. È ben noto il suo interesse per la città e per le evoluzioni che la trasformano in metropoli a cavallo tra Otto e Novecento, frutto anche di una passione per le cose come sono, per la loro esistenza reale, un «attaccamento agli oggetti da indagare con dedizione micrologica», secondo l’efficace descrizione che ne fa Andrea Pinotti nel bel saggio introduttivo all’interessante raccolta di testi simmeliani, pubblicata da Meltemi (a cura di Federica Corecco e Christian Zürcher), dedicata a tre città del tutto speciali Roma, Firenze, Venezia (pp. 69, euro 8). Solo il primo di essi, riservato alla «città eterna» datato 1898, precede il famoso saggio Le metropoli e la vita dello spirito (1902), mentre gli altri due, rispettivamente del 1906 quello su Firenze e del 1907 quello sulla città lagunare, testimoniano invece non solo della persistenza d’interesse dell’autore verso la condizione urbana, ma rappresentano anche l’esito di una prolungata riflessione estetica e teorico-sociologica che sgorga, da un lato, da una percezione sinestetica e intrisa di pathos e, dall’altro, da una puntuale registrazione del frenetico movimento vitale che anima le dinamiche cittadine.

COME SIMMEL RILEVA in Le metropoli e la vita dello spirito, la città dell’inizio del XX secolo, indagata con sguardo altro, persino straniero, impone all’esistenza individuale e sociale un’accelerazione che a fatica tenta di fissarsi nelle immagini sgranate che fuggevolmente si imprimono nella memoria dell’osservatore, come ben illustra la pittura impressionista coeva alle sue osservazioni.
In questi brevi ma densi testi, Simmel ritrae le tre città italiane più amate dalla cultura tedesca proprio per restituirne, con vivide pennellate, l’unicità e l’irripetibilità. Roma, attraverso quella che egli stesso definisce un’«analisi estetica», ma che di fatto si spinge molto al di là, gli appare soprattutto sotto le sembianze di un’indiscutibile e misteriosa bellezza che chiede solo di essere penetrata, afferrata più che compresa.

LA CHIAVE per accedervi, con la strumentazione metasociologica simmeliana, è la categoria di «unità informante» che allude a quel nesso capace di disporre, in armoniosa composizione, elementi eterogenei sia di provenienza naturale che umana e che, in virtù dell’interazione estetica che prodigiosamente crea tra essi, produce la «bellezza nuova e involontaria» dell’Urbe, la sua «bella totalità». Tale magia è determinata soprattutto dalla valorizzazione mirabile di rapporti, in particolare dell’«azione reciproca» tra alto e basso, che asseconda la particolare orografia del paesaggio romano, e dalla medesima relazione di reciprocità tra antico e moderno, riecheggiante il nesso spazio/tempo, che si ritrova magnificamente fusa (la «straordinaria unità del molteplice») nell’imponenza atemporale della Città eterna.

MA IL TRATTO più peculiare e influente dell’annotazione di Simmel sta nell’attribuzione esclusiva a chi osserva, al visitatore/spettatore, della possibilità di cogliere e accogliere le precipue e uniche caratteristiche di Roma, poiché l’unità della molteplicità, che è la sua cifra, trova spazio «nello spirito» che la contempla. Incantato è pure lo sguardo che osserva Firenze, la città-capolavoro, l’opera d’arte totale, la cui perfetta armonia è data da una riconciliazione assoluta tra mondi diversi, perché «qui la natura è diventata spirito senza rinunciare a se stessa», al punto che Simmel conclude: «Firenze è la felicità degli uomini compiutamente maturi» che della vita, oggetto di possesso o di rinuncia, cercano ormai «unicamente la forma».

DIVERSO è il caso di Venezia che gli appare invece come la quintessenza dell’«artificio», in cui la distanza siderale tra anima e rappresentazione, tra interiorità ed esteriorità, lungi dal trovare ricomposizione, ribadisce la «separazione dell’apparenza dall’essere», celebrando nella «bellezza pietrificata», immobile della città la propria natura di menzognera mascherata, non «una patria per la nostra anima, ma soltanto un’avventura».