Era il febbraio del 1965 quando Lisetta Carmi, allora trentunenne, arrivò a Piadena. Pochi giorni prima aveva conosciuto a Genova alcuni membri della Società di Cultura di Piadena e aveva deciso di andare a vedere quei luoghi della Bassa Cremonese. Lisetta Carmi girò in lungo e in largo le strade, i portici, le osterie, i campi, il cimitero, i cortili, la Biblioteca Popolare. Immortalò facce, atteggiamenti, gesti, case, muri, persone, campagne, strade, officine.
La maggior parte di quelle foto sono rimaste inedite finchè la Lega della Cultura di Piadena, con l’appoggio del Comune e della Provincia, ha deciso di dedicarvi una mostra che ha da poco chiuso ma che, per chi l’avesse persa, è molto ben testimoniata dal catalogo curato da Giovanni Battista Martini. Il titolo del catalogo, come quello della mostra, è Un paese 50 anni dopo. Lisetta Carmi a Piadena. Fotografie di Lisetta 1965. Sono quaranta stampe in bianco e nero, più una serie di provini. Procedendo per tematiche, il catalogo ricostruisce l’itinerario di Lisetta dentro un mondo che non esiste più e che, benchè lontano solo poco più di cinquant’anni, sembra distante anni luce. Come sempre nei lavori di Lisetta Carmi, ogni immagine porta dentro a un luogo o alla storia di una persona e sembra di essere lì, in quel momento.

 

 

 

Le stanze dell’osteria sono spoglie, hanno pavimenti di marmiglia, un rivestimento di perlinato, una cappelliera, eppure i giovani che dentro mangiano, bevono, ridono e cantano hanno sorrisi aperti, occhi curiosi che esprimono una voglia limpida di prendersi la vita. L’insegna della salumeria Cirelli, il cartello che dice, davanti al cinema, «Il film di oggi è per adulti», i portici con una bicicletta appoggiata senza catene davanti a un Sali e Tabacchi, le auto parcheggiate alla «come viene viene» in piazza Garibaldi, il vecchio in tabarro e con la sigaretta in bocca che percorre in bicicletta Corso Libertà, l’altro vecchio, elegantissimo in tabarro, cappello e scarpe lucide, che passeggia a testa bassa raccontano di un paese contadino rimasto uguale a se stesso per decenni e che comincia a essere toccato dalla modernità. Le anziane segnaligne e avvolte in abiti neri nel cimitero, la madre che si affaccia sulla soglia di una casa macilentasul cui muro è attaccato un filo su cui ha appena messo ad asciugare maglie e mutande lunghe di lana parlano di riti e fatiche femminili che da lì a qualche anno sarebbero state cambiate dalla rivoluzione femminista e dalla lavatrice. La porta di legno di un cesso pubblico sulla quale qualcuno ha scritto, con il gesso bianco, «Per piacere farla nel buco grazie», ci ricorda che c’era un tempo in cui esistevano i gabinetti alla turca.

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E poi c’è lei, quella bambina. Avrà otto anni, è ferma dietro un alto cancello di una casa dai muri aggrediti dall’umidità. Ha i capelli corti e tagliati male tirati da una parte, indossa un maglione troppo largo per lei e guarda con circospezione la fotografa tenendo le braccia dietro la schiena. Non a caso è l’immagine scelta per la copertina del cataloco perché, più delle altre, racchiude i due mondi che Lisetta documentò in quel 1965. Da una parte ci sono la campagna povera e antiche forme di relazione simbolicamente chiuse, o difese, da quel cancello; dall’altra c’è la bambina guardinga che un po’ sembra prigioniera, un po’ non resiste a osservare quello che c’è fuori da lì, curiosa di andare a vedere quel mondo di cui ha solo sentito parlare. Se oltrepasserà quella soglia, niente per lei e per gli altri abitanti del luogo sarà più come prima. Un passato, un futuro possibile e un mondo in cambiamento dentro una sola foto.
mariangela.mianiti@gmail.com