Domenica 26 novembre. Primo pomeriggio. Piazza Duomo. Milano. Da anni non passo di qui la domenica. Sto andando al cinema Arlecchino a vedere il film di Claire Simone Notre corps, pellicola fuori concorso che chiude Filmmaker 2023. Percorro corso Vittorio Emanuele II verso San Babila. Ondate di persone con pacchetti mi vengono incontro, mi superano. È’ tempo di black friday. Dalle vetrine di abiti, calze, scarpe, maglioni, gioielli, profumi emergono cartelli con promesse di sconti fino al 70 per cento. Nell’aria si respira eccitazione da acquisto.

C’è il sole, l’aria è ripulita da un provvidenziale vento. Imbocco via santa Radegonda. Davanti alle porte che fino allo scorso 31 luglio si aprivano sulle dieci sale del cinema Odeon, e che diventerà un centro commerciale, dormono per terra alcuni homeless avvolti in trapunte sbiadite. Torno in corso Vittorio Emanuele, arrivo all’altezza di Galleria de Cristoforis, mi viene una nostalgia. Entro, vado davanti a quella che fino al 2017 era l’entrata del cinema Apollo. Al suo posto ha aperto un «futuribile», ha scritto qualcuno, Apple Store. Lì non ci sono mai entrata. Mi manca la voglia.

IMBOCCO Galleria del Corso. Qui, quando arrivai a Milano, 40 anni fa, c’erano l’Ariston, il Corso, l’Excelsior. Non lontano c’erano il Mignon, il Corallo, proprio sul corso c’erano il Pasquirolo, l’Ambasciatori e, dove adesso c’è un enorme Zara, fino al 1999 c’era l’Astra.

Le ricordo ancora le file per comprare il biglietto. A volte non trovavi più posto o ti dovevi accontentare di posizioni infelici. Per non restare delusi bisognava prepararsi dei piani alternativi, oppure arrivare mezz’ora prima. Quando il President, in largo Augusto, fu rinnovato con poltrone che sembrava di stare su un divano, la coda si allungava per metri sul marciapiede. Non c’era l’online, non c’erano i posti numerati che, va detto, sono una gran comodità. Però stavi in mezzo alla gente e sentivi di far parte di un rito collettivo. Entrare, prendere posto, contrattare con quello davanti per fargli abbassare la testa, sperare che accanto a te non si sedesse uno che scartava tutto il tempo caramelle, le luci si abbassavano, le voci calavano, iniziava il film e sentivi l’ondata delle emozioni che diventavano corpo comune, la risata di quello che capiva le battute in anticipo, le esclamazioni di orrore per una scena violenta, quelle di sollievo, i fazzoletti tirati su di nascosto, perché non tutti volevano mostrare la lacrima al vicino.

C’E’ ANCORA tutto questo, nelle sale cinematografiche, perché quella cosa lì, la condivisione, il cinema continua a regalarla. Non è come guardare un film sul divano di casa davanti alla tivù. Lì non senti la gente, al massimo rispondi al bisogno di alzarti per andare in bagno, oppure metti in pausa per rispondere al telefono, e se il film non ti piace lo sospendi, cerchi qualcos’altro, comodissimo, isolatissimo, praticissimo.
E l’immaginario collettivo, l’emozione condivisa? Dove va, adesso, questo modo di sentirsi parte di una moltitudine, in questo consumo onanistico di immagini, in queste città dove negozi di merce hanno sostituito spazi di immaginazione, conoscenza, scoperta?

Entro all’Arlecchino consapevole di essere una superstite, ma per nulla rassegnata. Anche l’Arlecchino, che fu decorato da Lucio Fontana, aveva chiuso nel febbraio 2022. Pochi mesi dopo lo ha preso in gestione la Cineteca di Milano. Adesso è l’unica sala rimasta in quella che un tempo era chiamata la via dei cinema e adesso è la via dello shopping. Verrà il giorno in cui, stufi di decorare il fuori, ci tornerà la voglia di nutrire il dentro, magari seduti vicini. Verrà.

mariangela.mianiti@gmail.com