Quando la fantasia del giornalista supera le inchieste del cronista
Non capita spesso a chi scrive un romanzo noir molto spinto (Italianera, Fuorionda edizioni), vedersi precipitato nella cronaca. Il lancio del mio libro diceva così: «Un romanzo di fantapolitica che […]
Non capita spesso a chi scrive un romanzo noir molto spinto (Italianera, Fuorionda edizioni), vedersi precipitato nella cronaca. Il lancio del mio libro diceva così: «Un romanzo di fantapolitica che […]
Non capita spesso a chi scrive un romanzo noir molto spinto (Italianera, Fuorionda edizioni), vedersi precipitato nella cronaca. Il lancio del mio libro diceva così: «Un romanzo di fantapolitica che è anche una chiave per capire quale futuro inquietante potrebbe riservarci un presente che sembra implodere nella cupa dissolvenza di un regime».
In breve, nel romanzo si parla di una città, Roma, conquistata da una estrema destra predona, legata a filo doppio a un sistema di potere in cui entrano centri occulti, manovalanza criminale, ‘ndrangheta.
Giuro che, prima di scrivere, non avevo letto le inchieste giudiziarie (anche perché sono avvenute dopo la pubblicazione). Né tanto meno potevo prevedere quel che è accaduto ieri, con l’assassinio di Silvio Fanella (avvenuto in uno dei quartieri bene della capitale, la Camilluccia) uomo di fiducia di Gennaro Mokbel, fascista vicino all’ex-sindaco Gianni Alemanno e anello di congiunzione con i servizi segreti e la ‘ndrangheta.
(Per inciso e tra parentesi, invito tutti gli attuali critici del sindaco Ignazio Marino a riflettere su quel che sarebbe accaduto se il candidato sindaco del centro-sinistra non avesse sconfitto il sindaco uscente).
A Roma, raccontavo nel mio romanzo (era solo fantasia, eh!), c’era una miscela esplosiva composta da pezzi del mondo politico, eredi della vecchia criminalità romana (la banda della Magliana), cosche della ’ndrangheta calabrese che hanno investito sulla Capitale, acquistando locali prestigiosi e potendo contare su politici collusi.
Dice: ma come facevi a saperlo? Infatti, non lo sapevo. Ma il cronista sa che quel che intuisce, quel che legge tra le righe dei fatti non potrà mai essere raccontato attraverso la cronaca, che appiattisce tutto. Serve uno sguardo diverso, serve la profondità che ti dà la libertà del racconto “di fantasia”.
Cambio i nomi, immagino trame, costruisco degli archetipi. Sento che corrispondono a qualcosa che si muove nelle viscere della città, ma non ho bisogno delle “prove”, non mi servono, racconto storie. Alludo, immagino, evoco. Mi prendo una libertà che la cronaca, con la sua necessaria attinenza ai fatti, non potrà mai darmi.
Quando poi la cronaca si incarica di confermare quel racconto, non mi inorgoglisco affatto. Semmai mi incazzo.
E mi confermo nell’idea che il noir, come diceva Dashiell Hammett, è il modo più veritiero di raccontare il mondo.
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