«Si les frontières sont fermées, on nage. On nous destine à braver l’orage», recita l’incipit a due voci del brano, À travers les vagues, che introduce, icastico, al tema delle migrazioni e delle morti nel Mar Mediterraneo, di cui si dà una lettura critica dei discorsi che i governanti fanno sull’argomento usandolo come pretesto per edificare la questione razziale e la retorica di un Occidente culturalmente superiore, spostando così l’attenzione dalla contraddizione economica che mantiene in subalternità i proletari e i meno abbienti in ogni parte del mondo.
Sette minuti e trentuno secondi, apologo e sferza delle politiche mondialiste e del modo in cui il tema viene trattato dai media «embedded» che ne danno una lettura distorta.

IL BRANO si deve alla penna collettiva di un gruppo di artisti come Taïro, Naâman, Jahneration, Balik dei Danakil, Broussaï, Didier Awadi, Skarramucci, Solo Banton, Mellow Mood e Raphael, invitati al microfono dai Dub Inc (autori di musica e ritornello) a sostenere l’operato di SOS Méditerranée con lo scopo di raccogliere fondi e di sensibilizzare l’opinione pubblica: tutto il ricavato della vendita e dello streaming sarà devoluto all’organizzazione umanitaria. La reggae band di base a Saint-Étienne, ha nella propria ossatura di gruppo multirazziale (e con membri di diversa origine sociale visto che «migrante» fa quasi sempre rima con «ceto povero»), l’interesse per le tematiche legate alle migrazioni, all’integrazione, all’inclusione sociale e culturale, all’uguaglianza dei diritti civili e sociali: «Quando vedo questi migranti non posso fare a meno di pensare a mio padre – dichiara Komlan, uno dei due cantanti di origine mista franco-beninese – che ha vissuto l’esperienza migratoria a suo tempo, e questa cosa e come essa viene trattata dai media non può non toccarmi. Oggi i media ne proiettano un’immagine differente rispetto a quell’epoca là, tuttavia queste persone che fuggono dalle situazioni disastrose dei loro Paesi vivono esattamente le stesse vicissitudini dei nostri genitori.

PERCIÒ il pezzo vuole essere un opuscolo di (contro)informazione..». Molto di più: con un piccolo slittamento semantico potremmo definirlo un «pamphlet» sagace e mordente indirizzato ai potenti del mondo. Ancora una volta, la penna è corrosiva, i versi affilati sono come rasoi, e non v’è nessun disagio nel trovare le parole giuste. Purché non si provi a mettere un cappello politico a questa musica, che ogni tentativo sarà respinto al mittente.