Da sempre l’arte e la letteratura si sono rivolte all’antichità classica, non soltanto come esempio di stile ma anche – e forse soprattutto – come serbatoio di figure da utilizzare per affrontare i problemi della contemporaneità. Così, ad esempio, Giacomo Leopardi si è servito di personaggi come Saffo o Bruto per esprimere la propria visione filosofica, Borges e Dürrenmatt hanno offerto versioni indimenticabili del minotauro, del labirinto, di Edipo. Fino ad arrivare ai testi di Roberto Calasso.

PER NON PARLARE poi del cinema, con le incursioni nei miti di registi come Pier Paolo Pasolini o Miklós Jancsó. Naturalmente non è stata esclusivamente la cultura alta a mostrare tale interesse: dai mitici peplum degli anni Sessanta ai fumetti Marvel, non si contano le drammatizzazioni di miti ed eroi nella cultura popolare. Eppure appare ancora alquanto strano quando uno scrittore, noto soprattutto per il suo lavoro nell’ambito della letteratura di genere, si cimenta col mito, uscendo da quei confini in cui, dal punto di vista letterario, era stato forse troppo spesso rinchiuso e catalogato. O, meglio, mostrando ancora una volta come la distinzione, una volta molto rigida, tra cultura alta e cultura bassa, in molti casi, stia sempre più assottigliandosi, fino a svanire.

Ed è proprio quanto accade leggendo Il fuoco di Pandora (Solferino, pp. 224, euro 16,50) di Matteo Strukul. L’autore è il creatore di Mila Zago, bounty killer protagonista di tre romanzi, sceneggiatore di cinema, televisione e fumetti. Insomma uno dei migliori esponenti di quella letteratura di genere che in Italia vede scrittori del livello di Evangelisti, Carlotto, Tersite Rossi ecc.

QUESTA SUA ULTIMA FATICA si presenta, però, agli antipodi di quanto Strukul abbia pubblicato finora. Nata dalla proposta da parte della casa editrice di scrivere un libro dedicato all’elemento del fuoco, l’opera si presenta nella forma di quattro monologhi, in cui quattro figure di donna mitiche – Pandora, Pentesilea, Didone e Medea – raccontano la propria storia. La prima a parlare è, naturalmente, quella che fu la prima donna, quella che aprendo il famoso vaso liberò nel mondo i mali che affliggono l’umanità. Il racconto di Pandora è il più lungo. E parte da ben prima dell’evento che l’ha resa famosa, per dilungarsi anche su quello che accadde dopo. Quest’ultima, che è la parte in pratica sconosciuta della vicenda, si potrebbe definire come la nascita della civiltà umana grazie a una donna. È la donna all’origine di ogni male, aiutata dalle sue figlie, infatti, che diffonderà tra gli uomini la conoscenza dei vari usi del fuoco, dando impulso allo sviluppo della società umana. E il fuoco, elemento utile, piacevole ma anche pericoloso e distruttivo è il filo rosso che lega il racconto di Pandora a quello delle altre tre protagoniste. E le storie si intrecceranno con quelle di altri personaggi, dei e dee, eroi, filosofe, come Ipazia.

IL TUTTO IN UNO STILE e con una scrittura che Maria Grazia Ciani, che ha insegnato Storia della tradizione classica all’Università di Padova e tradotto, tra l’altro, testi come la Biblioteca di Apollodoro e le Lettere di Platone, nella bella introduzione non esita a definire «aulica per la ricchezza del lessico e delle immagini, per la cura dei particolari concreti e dei sentimenti più intimi», contrapponendosi alla definizione di scrittura meticcia che usa invece l’autore. Nello stesso tempo Ciani paragona il lavoro di Strukul a «un canto rapsodico al modo degli antichi aedi che, andando di paese in paese, radunavano la gente (…), sceglievano un tema e cantavano dando libero sfogo alla fantasia».

Ecco, forse, la scrittura dell’opera si può definire meticcia proprio perché riesce a mettere insieme il canto degli aedi, e le loro tecniche per tener viva l’attenzione degli ascoltatori, con la raffinatezza tutta letteraria di uno stile limpido ma assolutamente letterario. Del resto, è davvero difficile al lettore riuscire a separarsi dalle pagine di questo libro che lega, avvince, nonostante – o forse proprio grazie? – il livello davvero notevole della scrittura. Non solo, le storie narrate nei racconti delle protagoniste aprono a spazi di riflessione sulla struttura della società – attuale e passata – sul potere, sui diversi temi legati alla condizione femminile, fra cui, forse, quello che più colpisce è espresso nelle ultime parole della preghiera di Medea a Ecate, in cui si auspica che le donne «sappiano perdonarsi, senza rivolgere solo a se stesse le accuse di inadeguatezza».