Un Bussotti in jazz non si era mai sentito. Mica un «gezzetto» tanto per fare qualcosa di diverso con lo swing d’ordinanza. No, qui si tratta di una composizione di Sylvano Bussotti del 1991, Calendario giapponese, elaborata in una forma veramente inattesa dall’autore e da un altro compositore, Johnny Lapio, e diventata Calendario II. Ora pubblicata in cd dall’etichetta Arcote. Jazz? Sì, ma quello radicale che, da quando è nato il free, ha molti punti di contatto con le più avanzate esperienze della musica «dotta» contemporanea.

Ecco la struttura particolarissima del lavoro. Dodici strumentisti (uno per mese dell’anno) suonano un solo di tre minuti esatti ciascuno, uno dopo l’altro senza una pausa vera e propria tra uno e l’altro. Suonano a partire dalle indicazioni della partitura del 1991, che sono musicali e grafiche e pittoriche in senso pieno. In sostanza c’è una traccia ampia, non delimitata – si può prenderne frammenti in ogni punto della partitura – e ci sono dodici interpretazioni-improvvisazioni, con il secondo elemento in chiara prevalenza. I nomi di questo che diventa un ensemble effettivo solo in un tredicesimo brano d’assieme – una meraviglia di polifonia informale che si «oppone» al trionfo della monodia dei dodici brani precedenti – non possono essere omessi. Furio Di Castri (contrabbasso), Luca Biggio (clarinetto basso), Fulvio Chiara (tromba pocket), Francesco Partipilo (sax alto), Max Carletti (chitarra elettrica), Pasquale Innarella (sax tenore), Valentina Piovano (voce di soprano), Giuseppe Ricupero (sax baritono), Fabio Giachino (fender rhodes), Giancarlo Schiaffini (trombone), Lino Mei (pianoforte), Donato Stolfi (batteria). La firma rimane quella di Bussotti ma è chiaro che le loro dodici firme vanno aggiunte.

Nomi noti e nomi meno noti della scena jazzistica (e dintorni). Tutti sollecitati dal nume Bussotti, ispiratore magico, a produrre sequenze di suoni che ammaliano per l’arditezza e la varietà. Piovano ha in mente la Cathy Berberian di Visage, ma ci mette una spregiudicatezza e una carnalità che non sappiamo da dove vengano se non dal jazz, dal contesto jazz. Schiaffini è tenebroso? Macché! Esplora il grave epidermico-viscerale (sì, tutti e due assieme). Innarella lo riconosciamo per l’anima black ma il suo itinerario sonoro è qui il più nuovo che ricordiamo di lui. È sensazionale nel «mese» di Partipilo la ricerca della vocalità nel/del sax alto. Per una volta la «contemporanea» alimenta il jazz e viceversa. Bene.