Smagrito, smunto, lo sguardo spiritato, don Andrea Gallo è agli sgoccioli della sua esistenza terrena quando si presenta a una manifestazione indetta contro la sala giochi che Nicole Minetti voleva aprire nel rione genovese di Pegli. Sono passati solo pochi mesi e «il don» non è più tra noi, però, come dice il sottotitolo del libro che accompagna il dvd “Il canto del Gallo” appena mandato in libreria da Chiarelettere, le sue sono «parole che rimarranno per sempre»: contro la trasformazione della sua città in una Las Vegas italiana, in difesa della Costituzione, a rievocare la lotta partigiana – lui e il fratello Dino, arruolato in una brigata cattolica della Valpolcevera – e la sua cacciata dalla chiesa del Carmine, ad accusare il capitalismo finanziario o a proteggere le «princese» del cuore di Genova.
Quella sera di marzo del 2013 «il don» biascica un po’, le parole slittano come le gomme lisce di un’automobile su una strada bagnata, ma la verve è quella di sempre. «Negli ultimi tempi era sempre più stanco, era evidente che non ce la faceva più, però appena cominciava a parlare in pubblico gli tornava un’energia incredibile», mi aveva detto al suo funerale «la Lilli», la segretaria di sempre di don Gallo, e neppure lei riusciva a farsi capace di dove «il don» trovasse tanta forza.
Non era un uomo che le mandasse a dire, don Andrea. Sempre vicisno agli ultimi piuttosto che alle gerarchie, «angelicamente anarchico» come amava definirsi, ruvido con il suo vocione e allo stesso tempo istrionico, sapiente nel saper cogliere gli umori di chi ascolta, ironico persino. Magistrale la scena in cui, davanti a un Giovanardi freddo, meno che imbarazzato, afferma di essere per la legalizzazione di tutte le droghe, demolisce la legge firmata da questi insieme a Gianfranco Fini e provocatoriamente gli dice: «Cambiamola insieme». Folgorante l’omelia matrimoniale in cui affronta il tema dei matrimoni gay senza timore di affermare che l’amore viene prima di tutto.
Il documentario, diviso in capitoli come un libro, mescola filmati amatoriali – dai primi anni della comunità di San Benedetto al Porto all’amicizia con Fabrizio de Andrè, fino alle più recenti uscite pubbliche – con interviste a familiari e amici del «don». Si comincia con l’Andrea Gallo partigiano che canta «Bella ciao» e si finisce con i transessuali del centro storico e le scene del corteo funebre dalla chiesetta di San Benedetto a quella del Carmine, un mare di gente nonostante piovesse a dirotto. Chi c’era quel giorno, ai funerali, ne conserverà un ricordo indelebile: quello di una manifestazione ben riuscita come non accadeva da tempo, di quelle che, se pure non riescono a cambiare il corso della storia, lasciano almeno un segno nelle vite di chi vi prende parte. A don Gallo, immaginiamo, sarebbe piaciuto così.