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Quando i bimbi d’Italia si chiamavan Balilla. E come siamo oggi

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Mostra del Luce al Vittoriano Novanta anni della nostra storia nelle foto, nei film, nei cinegiornali dal fascismo al dopoguerra, dalle star di Hollywood sul Tevere alla contestazione. E ognuno con il suo vissuto

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 5 luglio 2014

Negli ultimi anni, alla mostra del cinema di Venezia spesso i film più applauditi sono stati i cinegiornali del Luce in apertura di programma: bianco e nero splendido, capacità di sintesi, velate, ma non troppo, indicazioni politiche, una stoccata umoristica finale a chiudere i servizi. Sarà anche per questo successo che Roberto Cicutto, amministratore delegato del Luce-Cinecittà ha lanciato l’idea di una mostra di parte dello sterminato archivio. Quelli che a lungo sono stati considerati servizi di regime, fiancheggiatori del fascismo e poi nel dopoguerra della democrazia cristiana, hanno quasi perso dopo tanti anni il potere di manipolare l’opinione del pubblico per diventare preziosi reperti d’archivio.

Se proprio volete perdervi dei meandri del suo immenso labirinto si può vedere liberamente tutto quello che è stato catalogato su archivioluce.com. Oppure, per non resistere all’insopprimibile fascino dell’anacronismo, si andrà a visitare la mostra appena inaugurata al Vittoriano di Roma: «Luce. l’immaginario italiano» aperta fino al 21 settembre (dalle 10.30 alle 21.30 biglietto 6 euro, 4 euro ridotto). L’inaugurazione ricordava molto da vicino i servizi di un tempo, l’assalto dei fotografi e cineoperatori alle autorità, in questo caso il ministro Franceschini che, segno dei tempi cambiati, avanzava e poi parlava agli operatori dei tg in tutta tranquillità, proprio sotto le gigantografie di un biblico Charlton Heston e Sandokan, non senza un pizzico di ironia, pur affrontando argomenti spinosi come quello del destino di Cinecittà, da anni nell’occhio del ciclone. «Una mostra, ha detto, che i ragazzi dovrebbero vedere per rendersi conto di come sono cambiati i tempi». Peccato che le vacanze siano appena iniziate e che da un monitor che proiettava i tentativi di ricostruzione del dopoguerra si sentivano scandire parole che ascoltiamo ancora oggi come: «più lavoro, più occupazione, più case».

Il tempo si è fermato. Serafico c’è Alfred Hitchcock in carrozza si allontana dai flash e dai microfoni. Ancora più rilassato Robert Mitchum seduto al bar con un whisky davanti. Il rombo della storia sembra rincorrerci per le sale: è l’effetto dei tanti monitor in funzione: ma se ci si posiziona davanti allo schermo, il microfono dal soffitto da la possibilità di ascoltare. Per quanto riguarda i tempi passati è impressionantela la prima sala, «una piazza» ricostruita con pannelli giganti dove è assemblato un pubblico del primo novecento, coppole e calzettoni, infanti e giacchette: testimonia la prima volta che una proiezione arrivò in Sicilia in un villaggio di pescatori. Si mostrava un servizio su Venezia, chi era mai stato fuori dal paese? E così via via i cinegiornali che erano proiettati nelel sale prima del film provvedevano a far conoscere popolazioni diverse e lontane, personaggi famosi, educare secondo le nuove scoperte scientifiche a evitare le malattie («tu sai mamma che baciando il tuo bambino trasmetti la tubercolosi?» ci intima una voce mentre passiamo di fronte a un monitor).
L’istituto Luce, fodato nel 1924 compie novant’anni, è la più antica istituzione pubblica del mondo, creata con lo scopo di raccontare l’Italia, educare il pubblico, nutrirlo di propaganda, diventando obbligatoria nel ’26 la proiezione dei filmati, nel 27 inaugurati i cinegiornali. Anni dopo Mussolini si occuperà dell’indistria cinematografica che oltre ad essere la rivoluzione dell’epoca e ad essere considerata «l’arma più forte», era una sua autentica passione (fan di Stanlio e Ollio in particolare, ma nella saletta di villa Torlonia passava tutto). La mostra che ha come sottotitolo «l’immaginario italiano» propone diverse strade da percorrere, soprattutto quella dei collegamenti che ognuno può tessere con i suoi ricordi la sua esperienza di vita, la sua generazione. Chi sarà la bella ragazza del video promozionale che passa dal bianco e nero al colore? i più giovani non riconosceranno forse Rossana Schiaffino che come musa della mostra accoglie i visitatori.

Dello sterminato materiale dell’archivio composto da tre milioni di fotografie e cinquemila ore di film sono stati composti due percorsi paralleli: una mostra fotografica con più di 500 fotografie dell’archivio a cura di Gabriele D’Autilia che ha curato anche il libro che accompagna il visitatore nelle avventure, propagande, corpi politici, paese reale, il Bel paese, donne, linguaggi, stelle, italiani e italiane. In parallelo c’è il percorso dei cinegiornali, centinaia di filmati dell’archivio storico più alcuni percorsi specifici, a cura di Roland Sejko, il cineasta albanese che da anni lavora agli archivi del Luce, autore del bellissimo documentario vincitore del David di Donatello Anja, la nave. «Abbiamo lavorato sul montaggio della sterminata quantità di materiali, dice Sejko, mi sono posto il problema di come raccontare itinerari attraverso le immagini. Abbiamo trovato piccole gemme cercando di fare un discorso narrativo, anche perché il tempo di attenzione del pubblico non è lungo. Uno spazio a parte, più approfondita prende la sezione «Io noi voi» dove si mette in evidenza il rapporto tra Mussolini e la folla.

Tra i vari percorsi siamo attirati dai servizi dal festival di Venezia che si possono agevolmente ascoltare in cuffia: «Non posso che dare un giudizio negativo» afferma il giovane critico Biraghi dall’edizione del ’63 «chesi è svolto in un clima di noia piuttosto profonda», si ascolta la voce di Antonioni, si sottovaluta nel ’66 la vittoria di Kluge (Artisti...) e del misterioso film Chappaqua, si danno giudizi moralistici sull’edizione della contestazione («chi crede nell’ordine appare come un coltivatore di luoghi comuni…»), si mostra il più recente ritrovato, le tre dimensioni, con due Mitchell che funzionano in sincrono. Effettivamente la storia si ripete, è bene saperlo. Qualcosa di nuovo la esprime il ministro Franceschini, la creazione di un museo del Cinema a Cinecittà, così come c’è a Torino dove nacque il cinema italiano o in altre città. «Cinecittà, il luogo su cui stiamo facendo passi avanti, luogo che è nato per produrre cinema»: dovrebbe essere ovvio ma non lo è, in realtà è diventato un deserto salvo il lavoro di sporadiche troupe straniere, o la speranza che la Rai inizi qui le lavorazioni delle sue innumerevoli fiction. In quel grande museo, dice, la mostra potrebbe avere una sua collocazione permanente.
Nel frattempo ci sono altre iniziative parallele a movimentare l’estate romana: la retrospettiva «Effetto Luce» curata da Gianni Canova con 60 titoli, dagli anni ’60 al ’99 ai Fori imperiali (piazza della Madonna di Loreto) dall’11 al 27 luglio e piazza Santa Croce in Gerusalemme dal 28 luglio al 5 settembre a ingresso libero. E la retrospettiva «Identità» con 30 titoli a cura di Gianni Canova, dal 1933 di Camicia nera di Forzano alla Balia di Bellocchio, nella sala Verdi del Vittoriano alle 11.30 alle 18.30 con ingresso libero per i visitatori della mostra. E 30 rari documentari scelti da Giacobini e Attene da Gloria di Omegna (’34) il primo sulla guerra mondiale a L’Africa di Pasolini di Borgna (fino al 21 settembre al Vittoriano). A cura di Luciano Siovena al Maxxi «XXISecolo» le opere prime e seconde che il Luce ha prodotto, ultima Alice Rohrwacher.

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