In una conferenza stampa dedicata alla guerra in Vietnam nel 1973, Brian Davis, giornalista inglese, chiese a Fidel Castro se riteneva possibile una ripresa delle relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti. Il lider maximo, sorridendo, rispose: «Sì, sarà possibile quando gli Usa avranno un presidente nero e vi sarà un papa latinoamericano».

La storia ha dimostrato di aver almeno altrettanta fantasia di Fidel e oggi, quello che era una chiara battuta di spirito, è realtà. Non solo, al primo papa latinoamericano, Francesco, è stato riconosciuto un ruolo fondamentale nell’aver contribuito a mettere fine a più di cinquant’anni di guerra fredda tra Usa e Cuba ed aprire il processo di trattative in corso per normalizzare le relazioni tra l’Avana e Washington.
In questo processo, la Chiesa cubana ha e avrà un ruolo, probabilmente non secondario. Come dimostra il clima di aspettative e preparativi della visita che papa Francesco farà a Cuba a settembre.

Si tratta della terza missione pastorale di un pontefice cattolico, ma questa volta latinoamericano (come richiedeva Fidel) il quale poi visiterà gli Usa del primo presidente nero e parlerà al Congresso perorando, appunto, la normalizzazione tra i due ex nemici giurati.

In questo quadro, non vi è da sorprendersi se i due giornali del partito comunista, Granma e Juventud rebelde, hanno pubblicato un articolo, richiamato con grande evidenza in prima pagina, dedicato agli «80 anni di relazioni diplomatiche» tra Cuba e il Vaticano. Simbolo di questa continuità di «relazioni ininterrotte» – anche dopo la rivoluzione e pure in periodi di crisi acuta con gli Usa, afferma Juventud rebelde – è «la Nunziatura apostolica all’Avana, ubicata nel quartiere (residenziale, ndr) di Miramar dal 1953».

In varie occasioni il leader storico della rivoluzione cubana ha visitato questa Nunziatura, specialmente nel periodo in cui il responsabile era monsignor Cesare Zacchi: incontri che hanno reso possibile che si potessero trovare mediazioni a una serie di divergenze politiche tra la Chiesa cattolica cubana e il governo rivoluzionario.

In particolare bisogna menzionare il ruolo svolto da un predecessore di Francesco, il «papa rosso», come i conservatori chiamavano Giovanni XXIII, il quale convocò il Concilio Vaticano II e nominò appunto monsignor Zacchi nunzio apostolico all’Avana. Papa Roncalli, infatti, rifiutò di condannare la rivoluzione cubana quando, per iniziativa di Fidel, l’isola si proclamà «socialista». E durante la cosidetta «crisi dei missili» dell’ottobre 1962, telefonò varie volte a John F. Kennedy (primo presidente cattolico degli Stati uniti) perché optasse per una soluzione negoziata della crisi ed evitasse un conflitto nucleare con l’Urss.

In quel periodo ero giornalista dell’agenzia Prensa latina e ci giunse la segnalazione che Giovanni XXIII si era detto disposto a viaggiare all’Avana, appunto per evitare un attacco nucleare da parte degli Stati Uniti.

Le relazioni tra la Chiesa cubana e la Rivoluzione hanno attraversato una serie di tappe, condizionate da diversi fattori interni ed esterni. Le prime due, che definirei di «sconcerto» (1959-1960) e di «scontro» (1961-62), videro infatti un corpo ecclesiale in gran parte spagnolo, conservatore se non di destra, influenzato nelle sue posizioni dalla guerra civile in Spagna, che si pose in rotta di collisione con la radicalizzazione socialista voluta da Fidel.

Lo scontro provocò una terza fase, l’«evasione» (1963-67) con una buona parte del clero che sceglie di abbandonare l’isola per Miami o l’Europa. Seguono poi la fase di «reincontro» (1968-78) e «dialogo» (1979-85) con il governo rivoluzionario, ormai visto come inevitabile interlocutore, tanto da condurre a una fase di «adattamento» (1986-92) seguito – dopo la caduta dell’Urss – da un «accomodamento» (1993-97) e da un «secondo incontro» (1998-fase attuale).

Questi ultimi due periodi hanno visto il protagonimo dell’arcivescovo dell’Avana, Jaime Ortega e della sua linea, appunto di dialogo, sviluppatasi soprattutto dopo l’insediamento alla presidenza di Raúl Castro

Oggi siamo di fronte a una fase che si situa nel quadro delle trattative di normalizzazione dei rapporti di Cuba con gli Usa e l’Unione europea e dell’ormai completa integrazione dell’Avana nelle principali organizzazioni dell’America latina, come la Celac (che in questi giorni è impegnata in negoziati con la Ue a Bruxelles).

Raul Castro con papa Bergoglio (LaPresse)
Raul Castro con papa Bergoglio (LaPresse)

Questa fase sarà marcata dalla visita del papa argentino Jorge Bergoglio nell’isola, nel corso della quale vi sarà probabilmente un incontro con Fidel, per molti versi storico: il primo papa gesuita che dialoga con il primo leader politico formato nella scuola dei gesuiti che ha abbracciato il marxismo e scelto il socialismo come sistema di governo del suo paese.

In un numero dedicato appunto agli «80 anni di relazioni diplomatiche», la rivista dell’Arcivescovato dell’Avana, Palabra nueva, mette in risalto questa fase storica dei rapporti tra la Chiesa e il governo rivoluzionario, che, nella mia opinione, lascia alle spalle il periodo «ateizante» (basato sull’ateismo) ereditato da concetti marxisti di ispirazione sovietica e stalinista.