Tutte a casa. Quali visioni, quali analisi, quali insight possono aprirsi col mutare di una semplice desinenza… Dal maschile al femminile plurale. Il titolo geniale del progetto, agito da un collettivo omonimo di filmmaker, a chiamare a raccolta – tramite social – testimonianze di donne dal profondo in ombra della quarantena, ci trasporta dall’immaginario storico di questo Paese, dalla disillusione tragica sulla presunta fine della guerra con l’armistizio del ’43 – narrata con ironica inarrivabile amarezza da Luigi Comencini – al contemporaneo traumatico e post-traumatico di cosa significhi essere donna in Italia, quando al coacervo pregresso dei divari e delle variabili per lo più non virtuose, si aggiunge la versione attuale del conflitto globale, la pandemia.

Tutte a casa, dunque, sottotitolo, Donne, Lavoro, Relazioni ai tempi del Covid-19, è un progetto di documentario partecipato e sperimentale, un appello all’autonarrazione lanciato il 17 marzo scorso, nel momento di massimo isolamento e  reclusione di ognuna di noi, da un collettivo di donne lavoratrici dello spettacolo: Federica Alderighi Nina Baratta Giovanna Cané Raffaella De Donato Cristina D’Eredità Flavia De Strasser Antonia Fama Rosa Ferro, Elisabetta Galgani Elisa Flaminia Inno Desiree Marianini  Eleonora Marino Beatrice Miano  Viola Piccininni Elettra Pizzi Francesca Zanni.  Autonarrazione, dunque, come insostituibile antidoto alla rimozione del vissuto delle donne o alla perniciosità deviata e deviante di certa narrazione per altri, come forma irrinunciabile dell’esserci e del dirsi, cui finora hanno risposto, inviando autoritratti/ videodiari girati col cellulare, circa 200 donne di età formazione e estrazione sociale differenti.

Così, mentre lo spettro atavico della relegazione femminile si ripropone in forme sempre più infide, una corale di voci e di volti rimette al centro della scena pubblica il vissuto già duramente avversato delle donne, il nostro apporto non adeguatamente riconosciuto, tutto ciò che è in mano nostra e che possiamo fare, anche se il sistema vuole che siamo le prime a risentire degli effetti nefasti della pandemia, e poi paradossalmente ci reputa marginali nelle politiche pensate per contrastarli.

Allora il rovescio della trama diventa il dritto, il privato ritorna imprescindibilmente politico (come è sempre stato), i telefonini a volte invasivi si fanno luminosi  strumenti di racconto e di denuncia delle singole soggettività in un interno, che sia quello dentro casa, tra insostenibili tartassamenti e straordinari equilibrismi figli/lavoro “assai poco smart”, sia quello esterno di occupazioni a rischio o meno, in uno scenario in cui, come ha stigmatizzato in questi giorni il Consiglio d’Europa,  lo Stato italiano continua a violare  la parità delle donne sul lavoro, per quanto concerne retribuzioni e opportunità.

In questo contesto, curiose di saperne di più, grazie a Cristina D’Eredità – che ha proposto in rete il progetto e che ne cura la direzione artistica, mentre è partito in questi giorni il crowdfunding https://youtu.be/08jTV_jSK_E (i ricavi del documentario, escluse le spese, saranno devoluti a un’associazione per i diritti delle donne) – ci siamo inoltrate per questo infinito patrimonio di lotte di memoria e di risorse  che siamo noi stesse.

La primissima idea di tutto questo.
Il progetto è scaturito proprio i primi giorni di quarantena da un’idea lanciata in un gruppo Facebook che riunisce più di 8000 lavoratrici dello spettacolo. Non me lo aspettavo, ma nel giro di pochissimo tempo sono stata inondata di messaggi di adesione. Così abbiamo creato una casa di produzione online, mettendo insieme 16 donne da tutta Italia e dall’estero, con età background e ruoli differenti (interazione online, ricerca delle partecipanti, regia, comunicazione). Dalla prima call per l’invio dei video ne abbiamo raccolti circa 5000.

Quali sono stati i vostri obiettivi iniziali?
Abbiamo proposto alle donne di raccontare la pandemia dal loro punto di vista e di concentrarsi su alcune angolature, ma anche di co-creare l’opera cioè di non fermarsi a un contenuto inviato una volta sola, bensì di intessere con le nostre registe un dialogo che permettesse a ciascuna di analizzare e approfondire la propria storia, attraverso una narrazione.

Il teaser comincia con un brillio di humor, l’accenno di un canto di quarantena, una bambina che disegna il virus, una donna iper-bardata di mascherina e un aeroporto deserto, una professionista della sanità che smaschera la retorica dell’andrà tutto bene e che racconta il primo tornare a respirare di un paziente, ci sono mamme e donne anziane: ci si riflette in macchina ci si confida, si lanciano s.o.s. a smussare la solitudine. Altre storie?
Vogliamo comporre un racconto trasversale della società. C’è la cassiera dell’Ipercoop di Bari che rivela come pian piano la sua positività si sia trasformata in angoscia di portare il virus in casa e di non essere abbastanza tutelata, malgrado gli sforzi in questo senso del suo datore di lavoro; c’è una dottoressa, un’anestesista primario dell’ospedale di Sassuolo, che ha condiviso la sua esperienza e il clima da frontiera bellica dei giorni clou della pandemia. Poi ci sono diverse malate che si sono confrontate sulla loro pelle con la malattia e che raccontano il loro calvario. Una ragazza molto bella e seguita sui social, che si occupa di benessere, narra il faccia a faccia col suo corpo attaccato dal virus. Altre sottolineano la stigmatizzazione sociale subita, durante la malattia e dopo. Ci sono anche tante docenti con le quali viviamo quanto la scuola si sia trasformata in questi mesi, e come sia mutato il rapporto con i ragazzi. Diverse sono anche le adolescenti: sono state loro la bomba a orologeria durante il lock down, e ci hanno raccontato dal loro punto di vista cosa significhi restare chiuse in casa e rinunciare alle amicizie in un momento della vita in cui sono così essenziali. E c’è una campionessa di pole dance che compie in casa splendide evoluzioni…

Il comparto dello spettacolo è  tra i più colpiti. Quanto ha contato la vostra esperienza diretta nel mettere al centro la questione del lavoro?
Tante di noi hanno perso la loro occupazione, hanno perso stagioni, hanno perso contratti. Il lavoro ci è sembrato subito cruciale sia a partire da noi stesse sia come chiave interpretativa esterna. Per questo, per non soccombere allo schiacciamento prodotto dalla pandemia, abbiamo anche creato un Manifesto della Partecipazione, con un intento politico e artistico insieme: dire a noi stese e al mondo che è possibile, con la fatica, la mediazione e il desiderio assoluto di andare in porto, fare  un cinema femminile differente, meno verticistico e competitivo e più orizzontale, fondato sulla responsabilità e la gentilezza e sul dare autonomia e risorse a noi stesse vicendevolmente.

Il capitolo donne e lavoro è immenso, un vero cubo di Rubik di variabili e incastri, il grande tassello non funzionante, con ricadute a grappoli sulle nostre vite: una Conciliazione ancora in gran parte appannaggio femminile, e adesso un massiccio smart-working che ha visto la pressione nelle case salire vorticosamente, in un contesto dove già le donne madri sono penalizzate a prescindere dalla pandemia e l’occupazione femminile è più precaria e meno tutelata…
Sì, infatti noi abbiamo una donna che era una fautrice dello smart working  e che nei video all’inizio della quarantena era entusiasta, “vabbè da paura, è una chance in più, sto riuscendo a curare la mia bambina di 6 mesi, a vivere più serenamente maternità e lavoro”.  Invece poi è stato molto significativo vedere come, con il trascorrere dei mesi, sia entrata in crisi. Perché lo smart working non regolamentato, lasciato sulle spalle dei singoli, diventa una completa invasione dello spazio privato a favore del lavoro. E alla fine quella donna non è nemmeno riuscita a dedicare tempo in più alla sua bambina come desiderava. Il risultato è stata una immensa frustrazione.

E anche una cartina al tornasole sui ruoli di genere dentro casa perché come sappiamo in Italia c’è questo gap tra quello che gli uomini italiani pensano o dicono di fare e quello che poi effettivamente fanno. Quindi  è stata una resa dei conti per capire…
Assolutamente sì, per questo ci è sembrato ascoltare la voce che emergeva dal privato delle donne. Sono in tante a dirci che ora in casa stanno facendo i conti con chi dei due debba continuare a lavorare. E che spesso sono le prime a rinunciare all’occupazione fuoricasa.

Una delle ricadute della quarantena è  l’accresciuta difficoltà da parte delle donne a far uscire il vissuto della violenza domestica fuori dalle mura di casa. Vi siete addentrate in questa direzione? E quale è stata la risposta? É tutto tremendamente difficile ma a volte il documentario può rappresentare un gancio a cui aggrapparsi concretamente.
Volevamo far emergere questo tema, ci premeva moltissimo,  ma durante tutta la quarantena è stato impossibile. Tali erano la pressione e la paura che – nonostante garantissimo l’anonimato e la mediazione di operatrici dei consultori con cui abbiamo avviato un dialogo o di altri enti che si occupano di violenza domestica – le donne non hanno voluto esporsi. Ora che la tensione si sta allentando, stiamo riuscendo a raggiungere le operatrici e a confrontarci con quanto hanno vissuto in questo periodo. Continuiamo a cercare di entrare in contatto con donne che conoscono questo vissuto in prima persona.

Quali le chiavi registiche per rapportarvi a un materiale così esteso? Tanto rimarrà fuori… Avete altri progetti in questo senso?
La forma è quella del racconto collettivo, imbastito delle singole narrazioni in prima persona, da piccole rivelazioni dal quotidiano di ognuna. Pensiamo a un montaggio sincopato, fatto di assonanze e contrasti a riflettere questa nostra contemporaneità spezzata, specie nella relazione virtuale – tante di noi non si sono mai incontrate – fatta di simultaneità e distonie, di collegamenti interrotti, rallentamenti e soggettive impossibili. Sì, tanti materiali rimarranno fuori: per ora il nostro obiettivo è il documentario ma, anche in collaborazione con Aamod (Fondazione Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico), pensiamo a un archivio-testimonianza. Distillato di dolori e energie creative, memento di questi giorni.

Maria Grosso

link per il crowdfunding Produzioni dal basso