A dicembre, poco prima di Natale, a Kiev la temperatura sfiora -10°C nonostante il sole e il cielo limpido. «Il ciclone di freddo viene dalla Russia. Tutto ciò che viene da lì è una catastrofe» dice ridendo la padrona di casa mentre infesta la cucina di puzza di sigarette. Incontro diversi centro- sudamericani che vivono qui. La domanda sorge spontanea: Perché qui? Ad occhio esterno e sbrigativo questi lidi appaiono inospitali e instabili. Alfredo, un ragazzo di Panama, dopo un periodo in Repubblica Ceca ha deciso di restare nella capitale ucraina dove si sente più a suo agio, la lingua è simile, dice, e la gente è più tollerante verso lo straniero la cui presenza dagli eventi di Maidan in poi non sembra più così esotica. Forse la chiave è proprio lì: il concetto di esotismo rivisto alla luce della mobilità umana contemporanea. Eppure, in questa fama di modernità, di progresso, nel ventre della città, si ritrovano vecchi lavori come le addette ai tornelli della metropolitana, la «capostazione» che con divisa in stile imperiale dà il via libera al conducente per ripartire con i suoi vagoni stracolmi, in barba a ogni distanziamento. Tecnicamente il Natale ortodosso cade in gennaio ma si festeggia anche prima tra i mercatini e la malinconia stagionale dei ritrovi familiari. Tom è un giovane colombiano, musicista, dj e produttore, che alterna soggiorni ucraini e spagnoli per ragioni di visto. Dopo quattro anni a Malta è sbarcato a Kiev inseguendo una fidanzata; i sogni d’amore hanno un ruolo sottovalutato nella geopolitica.

Per il cubano Raidel la storia è diversa. Molti cubani arrivavano per motivi di studio, prima del crollo dell’Urss e lui è stato uno degli ultimi. Agevolato dal far parte della squadra di baseball nazionale, studiando ingegneria elettronica ha realizzato il suo sogno di stare a contatto con i migliori sportivi. Perché ritornare? Non avrebbe senso, qui ha una famiglia e si sente perfettamente integrato. Molti ecuadoriani, soprattutto della classe medio- alta, sono giunti per percorsi universitari, spesso tramite agenzie private che si incaricano di visti e trasporti. Un «dream» atipico, forse temporaneo, per certo più economico di molti paesi europei, rincorso anche da chi è meno fortunato e lavora per le aziende che hanno bisogno di parlanti in varie lingue per call center e servizi vari. E adesso? Gli stranieri che possono lavorare in remoto si sono spostati in altri paesi o in cittadine ucraine della parte occidentale, almeno per un paio di mesi, in attesa che la situazione critica si stabilizzi. Altri, locali e no, hanno deciso di restare e vivere sul normale flusso quotidiano, abituati alla precarietà di un Paese già in parte occupato, scansando le ansie, in attesa che il ghiaccio si sciolga.