Non sono le camicie bianche, a impressionare; né la giovane (a ben vedere poi neanche tanto) età di questi uomini politici. Mi impressionava di più Claudio Martelli un secolo fa. E, tutto sommato, mi incuriosiva anche di più. Altre sono le cose che mi hanno impressionato.

Prima: il non detto. Differenze sostanziali nella formazione culturale, nel linguaggio; forse anche negli obiettivi e nella visione della vita.

Forse, perché il non detto era ipertrofico, subissava il detto, che è stato poca cosa, probabilmente perché è indicibile, perché non nasce da alcuna riflessione sul presente e sulla qualità reale del futuro, che non viene prospettato ma a cui, solo si allude.

Nessuna analisi delle differenze sociali in Europa e nel mondo, nessuna parola sulla storia che li ha portati fin lì (qualche anno fa avrei detto: ci ha portati fin qui); una storia espulsa e relegata nel cestino della sconfitta. Immaginaria, perché c’erano più vittorie e influenza sociale in quelle sconfitte che in tutte le foto glamour che potranno farsi.

Seconda: la galvanizzazione quasi passiva di quella che è stata la base di un grande partito. Walter Benjamin (un altro sconfitto) usava quest’espressione – galvanizzazione delle masse – per indicare l’esaltazione acritica dei tedeschi negli anni venti e trenta; gli stessi che avevano votato socialdemocratico. Mi ha colpito e rattristato; in nome dei tortellini e del Partito (anche se non è più lo stesso, nei valori, non nel nome) ci si spella le mani comunque.

Ho pensato – lo dico per paradosso – che se Renzi avesse proposto dei campi di integrazione per gli immigrati, qualcuno, lì in mezzo, avrebbe detto: «Almeno con lui si vince». Renzi è abile, lo sa, e si appropria di una storia. E qualcuno, con ridicoli distinguo sottovoce, glielo consente, schiacciato dal peso dei propri cedimenti.

Terza: quell’affermazione degna di quella che Daniel Goldaghen (uno storico bravo) ha definito la «conversazione sociale» (una banalità falsa, che diventa vera a forza di ripeterla): «Il merito è di sinistra» – ha detto Renzi – «il talento è di sinistra».

Almeno Martelli al merito associava i bisogni.

Bisognerebbe spiegare a questo blob, che non è vero. Che, al massimo, sono banalità liberali (e nemmeno di un liberalismo progressista). Che di sinistra è, semmai, lottare perché le condizioni di partenza siano uguali per tutti, perché altrimenti, nella realtà data, il merito è un inganno classista; che di sinistra è garantire una vita dignitosa anche a chi non ha talento, magari è un po’ scemo, ma è un essere umano e, già solo per questo, ha diritto ad una vita dignitosa e, possibilmente, serena. Lui lo sa, ma gli interessa solo citarla la sinistra, lanciarla, come la coperta di Linus, a quella base galvanizzata. Sembra dire loro: «Ecco, vi ho detto la parolina magica; ora non rompete le scatole e lasciatemi usare la vostra storia per i miei scopi».

Sotto la camicia bianca parlano il doppio petto di sempre e i maglioni di Marchionne, dal palco di quella che fu la festa de L’Unità.