«Ci stiamo provando seriamente», dice il senatore Lumia, capogruppo del Pd in commissione giustizia, a proposito della legge sui magistrati in politica. Tra i provvedimenti che hanno qualche speranza di essere approvati definitivamente prima della fine della legislatura c’è, un po’ in ombra rispetto ad altri più attesi (ius soli innanzitutto), la legge che pone dei limiti alla candidabilità di giudici e pm e introduce dei vincoli per il loro ritorno in organico. Limiti e vincoli troppo blandi, secondo i critici – Forza Italia e 5 Stelle, ma anche alcuni esponenti del Pd – che vorrebbero cancellare le modifiche (riduttive) approvate alla camera. Ma a questo punto rimandare la legge alla camera vorrebbe dire condannarla definitivamente.
«Qualcosa potremmo modificare», aggiunge ciò nonostante Lumia. Che ha proposto una modifica in senso più permissivo: escludere dai vincoli tutti i magistrati in pensione. E non solo, com’è previsto adesso, i magistrati in pensione da due anni. Proposta condivisa (anche da M5s e Sinistra) che però consegnerebbe le residue chance di approvazione a un voto di fiducia alla camera. «Il governo se la sente di impegnarsi?», chiede il relatore Casson (Mdp). La risposta, non ufficiale, che si può ascoltare in via Arenula è praticamente opposta: «Sono i senatori a dover decidere se rendere disponibile per le prossime elezioni un sistema di regole, magari non perfetto ma che introduce comunque alcuni paletti seri alle candidature dei magistrati».

Dopo il passaggio alla camera, la legge non si occupa più del dovere di astensione (e quindi della possibilità di ricusazione) dei giudici che hanno partecipato alle elezioni, e che si trovino a dover giudicare altri candidati. Ma stabilisce che un magistrato non si può candidare nella circoscrizione (quindi nella regione, salvo per la camera nelle regioni grandi dove ci sono due o tre o quattro circoscrizioni) dove ha esercitato nei cinque anni precedenti. E in ogni caso non si può candidare se non si trova in aspettativa da almeno sei mesi al momento di accettare la candidatura (cosa che va fatta al massimo quando si depositano le liste). In teoria, dunque, queste norme escluderebbero dalle prossime elezioni tutti i magistrati che non sono già adesso in aspettativa. Ma questo solo in caso di scadenza naturale della legislatura. Se le camere com’è altamente probabile verranno sciolte prima di metà marzo, alle toghe per candidarsi basterà chiedere l’aspettativa al Csm al momento di firmare le liste.

Tra chi spinge per l’approvazione della legge al senato c’è il presidente Grasso, che si è dimesso dalla magistratura nel 2013 dopo aver accettato la candidatura nel Pd. La nuova versione del testo, fermo in commissione a palazzo Madama da aprile, ha allentato i limiti al rientro in ruolo delle toghe candidate e non elette (niente funzioni inquirenti per due anni invece che cinque; niente più ricollocazione obbligatoria per cinque anni in organi collegiali e senza incarichi direttivi).
Una norma transitoria si occupa dei magistrati fuori ruolo attualmente in parlamento (pochi: tre al senato e due alla camera) che potranno scegliere tra la Cassazione e l’avvocatura dello stato, senza poter assumere incarichi direttivi per due anni (erano tre). E dei tanti, oltre cento, magistrati che collaborano con i ministri o sono stati nominati commissari: il divieto di assumere incarichi direttivi al loro ritorno negli uffici di provenienza, per questa volta, non vale.