Sabato 17 aprile parte la Regular Season della MLS e dalle parti di San Jose, California, l’attesa dei tifosi per la locale squadra, gli Earthquakes, si ravvisa nell’aria. A rendere effervescente l’atmosfera, oltre la novità del ritorno allo stadio per un totale del venti per cento della capienza grazie alla robusta campagna di vaccinazione contro il covid19 in atto nello stato, è anche l’interessante campagna acquisti effettuata dal club. L’arrivo del talentuoso centrocampista Eduardo ’Chofis’ Lopez, unito ad un aumento dei giocatori latinos nella rosa, ha scaldato gli animi e fatto salire le aspettative.

D’altronde, non potrebbe essere altrimenti dopo l’ultimo ed emozionante campionato vissuto dai Quakes, capaci di cadere e risorgere più volte dalle proprie ceneri. Della scorsa stagione, l’istantanea migliore è la corsa del vecchio capitano Chris Wondoloski che impazzisce di gioia e corre a braccia larghe verso Cristian Espinoza, esterno destro d’attacco che pennellando un perfetto assist, gli ha permesso di realizzare il gol del sorpasso ai danni dei blasonati rivali Los Angeles Football Club (sponsorizzati da YouTube). ’Wondo’, come viene soprannominato dai suoi tifosi, con quel tiro al volo di destro, si prese sulle spalle la squadra messa alla prova da mesi difficili, trascinandola fino ai playoff, da cui i Quakes uscirono vendendo cara la pelle contro lo Sporting Kansas City, una delle migliori squadre del torneo, capitolando soltanto alla lotteria dei rigori. Un’annata particolare, segnata dai cambiamenti radicali dovuti alla pandemia da covid19, che rimarrà ben impressa nella storia societaria, come testimonia il general manager Jesse Fioranelli: «È difficile spiegare quanto il team abbia lottato durante un anno complesso come quello appena trascorso. Sono grato all’allenatore Matias Almeyda ed ai giocatori per l’impegno mostrato ogni giorno dentro e fuori dal campo. Tutto questo mi rende orgoglioso della squadra». Oltre il mero risultato, nonostante sia la poetica che il business nel calcio siano innegabilmente legati alle vittorie, nella dichiarazione del dirigente si rintracciano spunti interessanti. Il più immediato evidenzia l’importanza del vivaio alle spalle della prima squadra: durante la partita contro Kansas, sono stati impiegati ben sette giocatori provenienti dall’Academy, la scuola calcio del club. Un risultato considerevole per il pallone a stelle e strisce, dove sovente buona parte degli investimenti vanno verso l’acquisto di vecchie glorie in buonuscita dall’Europa: San Jose marca la differeneza in tal senso, risultando ad oggi nella intera Major Legue Soccer come una delle compagini più impegnate nella valorizzazione dei giovani.

Ed oltre ciò, va posta attenzione sulle parole «fuori dal campo» di Fioranelli. Perché al di là delle partite giocate nel casalingo Earthquakes Stadium e del sentitissimo derby con i Los Angeles Galaxy, rinominato «California Clasico» per la rivalità delle comunità di tifosi ispanici, fuori dal rettangolo verde dei Terremoti vi è una stimolante narrazione che racconta di un legame profondo con il territorio. I Quakes sono promotori di una lunga serie di eventi e campagne a sfondo sociale che agiscono in supporto della comunità locale, come spiega il manager: «San Jose è una città che presenta una popolazione variegata che include ispanici, asiatici, bianchi ed afroamericani. Ed il pubblico che ci segue rispecchia in pieno questa diversità. Per rendersene conto, basta gettare uno sguardo al nostro stadio, che non è solo il posto dove si giocano le partite: è qualcosa di più, è un luogo di ritrovo. Dove puoi incontrare chiunque tra i tifosi: donne, uomini, famiglie, middle class. Verso di loro, come società, sentiamo una responsabilità civica e crediamo che possiamo utilizzare il sistema calcio per entrare in contatto con la gente. Questo avviene attraverso una lunga serie di iniziative che rivolgiamo a tutte e tutti, perché la nostra piattaforma relazionale non esclude nessuno. Abbiamo uno spirito inclusivo».

Decisamente rivolto alla comunità: uno dei programmi più ambiziosi porta il nome di Pledge74 e coinvolge sia il team che la quasi omonima Quakes Foundation, nell’intento di combattere l’insicurezza alimentare nell’area della Silicon Valley. Che nonostante sia una zona con elevatissima circolazione della ricchezza, presenta in realtà una preoccupante sperequazione dei redditi, al punto tale che le statistiche in epoca pre-pandemia, segnalavano come una persona su quattro fosse a rischio sotto alimentazione.

Il programma, presentato nel luglio 2020, giocando sul 74 come anno di nascita del club, mira a raccogliere donazioni per un totale di settecentoquarantamila dollari, da raggiungere anche grazie alla promozione delle attività di volontariato, con il fine di aumentare la consapevolezza collettiva rispetto al problema della fame che affligge gli strati più poveri della popolazione. Una contraddizione fortissima per un’area geografica con i redditi medi più alti del pianeta e che prima che il silicio donasse il nome alla valle, grazie ad una prospera agricoltura veniva chiamata Valley of Heart’s Delight. L’impegno dei Quakes non si ferma a Pledge74, ma va oltre supportando economicamente varie associazioni, come ad esempio le Catholic Charities della contea di Santa Clara, garantendo in questo modo il supporto di beni di prima necessità per i lavoratori agricoli in difficoltà, grazie ad una iniziativa chiamata «Farmworkers Caravan».

Nella stessa ottica e con uguali modalità si leggono anche gli interventi a favore di «Hunger At Home» a San Jose ed a «Tha Hood Squad», collettivo artistico african american che aiuta gli homeless nell’area di Oakland. Notevole anche il sostegno a chi si occupa di diritti sociali: in tal senso va visto il supporto alla sezione giovanile di San Jose della NAACP, nonché la partecipazione alle iniziative della MLS contro le discriminazioni di genere, razziali e quelle per la registrazioni al voto elettorale dello scorso 3 novembre. Non potrebbe essere altrimenti, quando sono i giocatori ad essere protagonisti in prima fila nelle iniziative, oltre a rappresentare loro stessi gli aspetti multiculturali fuori dal campo. Wondolowski è orgogliosamente per metà nativo americano della tribù dei Kiowa da parte di madre, il difensore Guram Kashia, fino all’anno scorso in squadra, è stato insignito nel 2018 del premio #EqualRights dalla UEFA per il suo sostegno alla comunità LGBT. Perché accada, lo sintetizza Fioranelli: «Nel nostro spogliatoio abbiamo oltre dieci nazionalità diverse, con un’età dei giocatori che vai dai sedici ai trentotto anni. Siamo una società storicamente popolare con una identità ben radicata, grazie anche al lavoro di chi ci ha preceduto. E questo modo di essere contribuisce alla nostra identità ed a quello che siamo, anche dal punto di vista sportivo: stando assieme da tempo siamo arrivati a dei risultati impensabili, crescendo e raggiungendo nuovi limiti. Come diciamo sempre, «forward as one» (avanti uniti).