Le prime quattro sere del mese di Ramadan sono state segnate da tafferugli, arresti e manganellate della polizia israeliana ai giovani palestinesi che si riuniscono alla Porta di Damasco di Gerusalemme. Difficile prevedere come la tensione di questi giorni si evolverà. L’anno scorso scontri simili, contemporanei alla lotta delle famiglie palestinesi di Sheikh Jarrah a rischio di espulsione dalle case in cui vivono da decenni, sfociarono in una escalation militare tra Israele e Hamas a Gaza. Uno sviluppo che non si può escludere anche quest’anno. Comunque sia, il conflitto tra il movimento islamico e l’esercito israeliano continua ad ogni livello e coinvolge in maniera crescente la comunicazione. E da qualche giorno ha fatto la sua apparizione su questo particolare campo di battaglia la serie prodotta da Hamas «Qabdat al Ahrar» (in inglese «The Fist of the Free») in onda su 15 canali satellitari palestinesi e arabi durante il Ramadan.

«Qabdat al Ahrar», 30 episodi della durata di 40 minuti, è una risposta del movimento islamico a «Fauda» la serie tv israeliana, presente su Netflix e vista in tutto il mondo, sulle missioni e gli assassini di palestinesi compiuti di agenti sotto copertura che agiscono nei territori occupati di Cisgiordania e Gaza. «Fauda», denunciano i palestinesi, è la rappresentazione della narrazione israeliana del conflitto: una perenne «lotta al terrorismo» che ridimensiona, e molto spesso cancella, l’occupazione militare e la negazione dei diritti dei palestinesi. La serie tv di Hamas quindi punta a mettere in luce la narrazione palestinese e la resistenza di Gaza. «Qabdat al Ahrar» prende spunto da un fatto realmente accaduto: un’infiltrazione a Gaza dell’unità speciale israeliana «Sayeret Matkal», uomini e donne che nel 2018 per settimane, presentandosi come operatori umanitari di una ong turca, installarono o provarono a farlo dispositivi di spionaggio avanzati sulla rete di comunicazione delle Brigate Izz ad Din al Qassam, il braccio militare di Hamas. Furono poi mascherati e negli scontri a fuoco avvenuti durante la fuga da Gaza morirono sette palestinesi – colpiti dall’aviazione israeliana che copriva dall’alto l’unità «Sayeret Matkal» – e un ufficiale degli agenti segreti. Le cose vanno diversamente nella serie tv di Hamas. «La cellula israeliana rapisce con successo un importante leader palestinese – racconta Saadi al Attar produttore esecutivo della serie – ma non riesce a lasciare Gaza ed i combattenti della resistenza non solo riescono a sgominarla ma si impossessano anche di un grosso quantitativo di armi avanzate necessarie per continuare la lotta armata». La vicenda, aggiunge Al Attar, si svolge nel contesto della vita reale della Striscia.

Un altro produttore, Mohammed Thuraya, spiega che «lo scopo principale Qabdat al Ahrar non è tanto o solo quello di esaltare le capacità della resistenza palestinese, quanto quello di confutare la narrazione israeliana, sia nei media che nelle produzioni artistiche, che rappresenta sempre i palestinesi come dei terroristi e non come un popolo oppresso. Crediamo che i telespettatori che seguiranno la serie tv arriveranno alla conclusione che la resistenza nella Striscia è giustificata ed efficace». Il giornalista Aziz Kahlout ricorda che a Gaza esiste già da alcuni anni un centro di produzione dove sono state realizzate – sempre da Hamas – film e serie tv. «Il movimento islamico – spiega – ha compreso da tempo che la comunicazione è fondamentale per la sua battaglia contro Israele ed è molto impegnato su quel terreno».

Tutte le scene di «Qabdat al Ahrar» sono state girate a Gaza con macchine semplici e senza attrezzature sofisticate. Gli attori e le attrici non sono dei professionisti e hanno ricevuto piccole somme per la loro recitazione. Camelia Abu Sammak si dice soddisfatta per «aver interpretato il ruolo di una donna del popolo che trascorre le sue giornate a osservare cosa fanno i vicini e a creare problemi con i suoi pettegolezzi. La serie tv è sulla resistenza a Israele ma non trascura la vita quotidiana dei palestinesi e questo è stato fondamentale per farmi accettare la parte».