Secondo Pyongyang Cia e Seul avrebbero complottato per uccidere niente meno che Kim Jong-un lo scorso 15 aprile, nel giorno delle grandi commemorazioni nazionali in onore del nonno di Kim, il capostipite della dinastia che regna in Corea del Nord, Kim Il-sung.

I PREPARATIVI, resi noti dal ministero della Sicurezza di stato di Pyongyang e diffusi all’agenzia di stampa ufficiale nordcoreana Kcna, sarebbero stati in corso da tempo. Si tratterebbe di un piano dettagliato, con l’utilizzo di un infiltrato nordcoreano, pagato e foraggiato da Usa e Corea del Sud, pronto a colpire e uccidere il leader con sostanze biochimiche.
Qualcosa che, senza il contatto fisico e le due presunte ragazze, ricorda molto da vicino il modo in cui è stato ucciso il fratellastro di Kim Jong-un, Kim Jong-nam, qualche mese fa all’aeroporto di Kuala Lumpur. Secondo la ricostruzione offerta dalla Corea del Nord, le intelligence di Washington e di Seul avrebbero sostenuto interamente i costi dell’operazione arrivando a pagare il proprio infiltrato almeno 200mila dollari, più i costi di un ricetrasmettitore satellitare. Nel corso del 2016, quando la presunta spia abitava a Pyongyang, le sarebbero state date istruzioni per avere accesso ai luoghi delle celebrazioni e avrebbe dovuto dare vita a un vero e proprio network. I 200mila dollari sarebbero serviti proprio a pagare i «complici». Ieri la Corea del Nord ha diffuso questa presunta notizia, ritornando a minacciare i suoi nemici: anche la sola esistenza di un simile complotto, secondo Pyongyang, equivarrebbe a una sorta di dichiarazione di guerra.

STATI UNITI E COREA DEL SUD, (ancora una volta) si tengano pronti: «Scoveremo e distruggeremo fino all’ultimo terrorista della Cia e dell’intelligence sudcoreana», ha fatto sapere Pyongyang tramite Kcna, promettendo quello che definisce un «attacco anti-terrorismo».
Questa della Corea del Nord non è stata l’unica comunicazione di questi giorni: di recente Pyongyang, in un gesto davvero inusuale, ha attaccato la stampa cinese rea di criticare troppo il regno di Kim e di essersi allineata con gli Stati uniti. Secondo la Corea del Nord, la Cina anziché usare toni critici, dovrebbe ringraziare il paese di Kim perché la proteggerebbe dall’ingerenza americana, essendo la Corea del Nord un vero e proprio cuscinetto «protettivo» per Pechino.

TONI CHE HANNO RICORDATO il gelo tra i due paesi intercorso tra il 1992 e il 2000 a seguito della ripresa di relazioni ufficiali tra Pechino e Seul, cui seguì una chiusura totale delle comunicazioni (almeno quelle ufficiali). Questa volta però arriva in un momento delicato, con una Cina che all’interno si chiede se abbia ancora un senso sostenere la Corea del Nord.
Dal Global Times, quotidiano che capta alcuni umori all’interno del Pcc pur non rappresentandolo in toto, è arrivata una risposta ieri: la Corea del Nord non ha motivi di sollevare critiche «iper nazionaliste» contro la Cina, perché la propria corsa al nucleare è completamente «priva di logica».

DAL CANTO SUO GLI USA di Trump, accusato da The National Interest (storica rivista di realpolitik americana) di aver messo in piedi «una strategia dell’impazienza» pungolando ora Pyongyang ora Pechino ma senza offrire nulla in cambio alla Cina, ieri ha visto la Camera dei rappresentanti approvare nuove sanzioni contro i trasporti marittimi e il ricorso al lavoro forzato da parte della Corea del Nord.