Giornata di lavoro a orario ridotto ieri in Crimea, per i festeggiamenti del primo anniversario del ritorno alla Russia. La celebrazione vera e propria è prevista per domani, anniversario dell’accordo per l’ingresso della Repubblica di Crimea, compresa la città a statuto speciale di Sevastopoli, nella Federazione Russa. Il 16 marzo 2014 si era invece tenuto il referendum con cui il 96,77% dei crimeani e il 95,6% dei cittadini di Sevastopoli si pronunciarono per il ritorno alla Russia.

L’anniversario è stato ricostruito nel film-documentario di quasi tre ore «Crimea. La via verso la Patria», andato in onda domenica scorsa su Rossija 1. Una ricostruzione, basata sulle testimonianze dei protagonisti, ma soprattutto sulle dichiarazioni di Vladimir Putin, tra le quali è spiccata quella secondo cui Mosca, dopo il colpo di stato a Kiev, era pronta a mettere in stato d’allerta anche le forze nucleari.

Alcuni settori militari proposero a Putin di utilizzare ogni mezzo di intimidazione, ma lui rifiutò, anche se, come ha detto, dai colloqui coi partner occidentali non era chiaro che questi non si sarebbero intromessi militarmente.

In ogni caso, ha detto Putin: «il nostro deterrente atomico è sempre in stato di piena efficienza bellica» e ieri è stata la volta della Flotta del Nord ad essere messa in stato d’allerta, nel quadro dei controlli improvvisi sull’efficienza bellica divenuti una pratica col Ministro della Difesa Serghej Shojgu.

Per quanto riguarda la questione crimeana, Putin ha confermato che, di fronte a movimenti di naviglio Usa, la Russia schierò il complesso missilistico costiero «Bastion»; lo fece a titolo dimostrativo, sapendo che i satelliti lo avrebbero individuato.

Ma il grosso del film è dedicato alla ricostruzione delle spedizioni armate dei fascisti di «Pravyj sektor» contro gli «antimajdani» di Crimea, cui si opposero efficacemente i volontari civili (peraltro disarmati), poi appoggiati dagli «spetsnaz» russi, inviati da Putin «per non permettere che i 20.000 militari ucraini di stanza in Crimea impedissero nel sangue» il referendum del 16 marzo.

I cui risultati il Governatore della Crimea Serghej Aksenov ha escluso possano essere annullati, nonostante anche ieri la cancelliera Angela Merkel abbia chiesto il ritorno della Crimea all’Ucraina.

E sul versante ucraino del Donbass, il presidente Poroshenko, mentre invitava l’Occidente a boicottare i campionati mondiali di calcio del 2018 in Russia, solo ieri ha portato alla Rada il progetto di legge sul «Regime speciale degli organi di potere locale in alcune aree, città e villaggi delle regioni di Donetsk e di Lugansk», regime che si realizzerà dopo elezioni straordinarie.

Il progetto – secondo gli accordi di Minsk, la Rada avrebbe dovuto adottare la relativa risoluzione già entro il 14 marzo – verrà esaminato in questa settimana, secondo quando dichiarato dallo speaker della Rada Vladimir Grojsman. Da parte sua, il leader della Repubblica di Donetsk Aleksandr Zakharcenko, ha però insistito che, secondo gli accordi e lo spirito di Minsk, ogni riforma riguardante il Donbass deve essere concordata con i rappresentanti di Donetsk e Lugansk: «Se non ci sarà un documento concordato, in calce a cui siano le firme mia e di Plotnitskij, lo considereremo una violazione degli accordi di Minsk».