Venerdì sera su Rossya 1 è andata in onda la prima mondiale del secondo docufilm sull’Ucraina nato dal sodalizio di Oliver Stone con il regista americano di origine ucraina Igor Lopatonok, già premiato al festival di Taormina. In lotta per l’Ucraina a differenza del precedente Ucraina a fuoco del 2016, gli accenti propagandistici filo-russi cedono il passo a una riflessione ad ampio raggio sulle prospettive del paese slavo. I temi della deindustrializzazione dell’Ucraina, della sua trasformazione in una colonia dei paesi occidentali, dell’accerchiamento della Nato alla Russia, vengono analizzati attraverso uno stringente dialogato con Viktor Mednecyuk già braccio destro dell’ex presidente Leonid Kuchma.

NE EMERGE UNA LETTURA tutta geopolitica della crisi che sta dilaniando il paese slavo da oltre 5 anni e utilizzata – secondo Stone – dalle amministrazioni americane come cavallo di Troia per mettere sotto scacco la Russia. Quello che disturba di meno nella lettura unilaterale dell’autore di Nato il 4 luglio, a conti fatti, è la dichiarata partigianeria della sua narrazione, il rimando persino alle teorie complottiste (Soros viene citato più volte) e dalla manifesta simpatia per il suo eroe: Vladimir Putin. Nel film vengono propostI solo pochi scampoli della nuova esclusiva intervista di Stone al presidente russo, ma così importanti da spostare il significato politico di tutta la pellicola. Così rimarchevoli da far decidere il Cremlino di pubblicare nottetempo, l’intera trascrizione dell’intervista con il regista Usa.

SI TRATTA, IN PRIMO LUOGO, delle prospettive delle relazioni tra l’Ucraina e la Russia. «Credo che russi e ucraini siano in linea di massima un solo popolo» sostiene Putin a un certo punto. E Stone aggiunge: «Due nazioni, ma un solo popolo». Putin: «Essenzialmente si tratta di una nazione». Stone: «Una nazione? Putin: «Certo… quando queste realtà che sono il cuore dell’Ucraina si unirono alla Russia, erano solo 3 regioni… Nessuno si considerava altro che russo… Erano tutti ortodossi e si definivano russi». Ovviamente non si tratta per Putin di una querelle storiografica, ma di indicare come obiettivo politico l’unificazione delle due nazioni.
Putin non si era mai spinto tanto avanti. Una tesi da far sobbalzare sulla sedia anche i suoi più audaci sostenitori in Ucraina e da far gridare al «colonialismo grande russo» a gran parte dei suoi oppositori. Putin propone di fatto una federazione: «So bene che nel tempo l’identità di questa parte della Russia (dell’Ucraina ndr) si è in qualche modo definita e i popoli hanno il diritto di farlo». Sarebbero per lo “Zar” proprio i processi di integrazione dell’economia mondiale a imporre questa strada: «Abbiamo molto in comune e possiamo usarlo come vantaggio competitivo in alcuni processi di integrazione. I leader ucraini di oggi ovviamente non lo vogliono. Ma penso che il buon senso prevarrà… il riavvicinamento è inevitabile».

ECCOLO IL SOGNO: un’Ucraina di nuovo alleata di Mosca e lontana dall’Occidente: «Oggi l’economia dell’Ucraina è stata distrutta del fatto che ha perso il mercato russo mentre i prodotti industriali dell’Ucraina sui mercati occidentali non sono necessari a nessuno».
Non manca infine nell’intervista anche una puntura di spillo nei confronti di Obama riguardante le trattative russo-americane nei giorni della Maidan: «Obama non è più il presidente, ma ciononostante ci sono certe cose di cui non si parla pubblicamente. In ogni caso, posso dire che gli accordi raggiunti in una nostra conversazione telefonica non vennero soddisfatti da parte americana».

A cosa allude Putin, forse lo sa solo Obama, ma ciò che è certo che dei giorni della Maidan si parlerà ancora a lungo.