Le relazioni umane richiedono il proprio tempo, tanto più quando sono segnate da problematiche serie. Per raccontarle però possono bastare pochi minuti se sono intensi e concentrati. I principali premiati fra i cortometraggi del festival internazionale del film d’animazione di Annecy quest’anno hanno, in modi diversi, affrontato questioni sensibili e delicate con raffinata maestria artistica e notevoli colonne sonore. Del rapporto a due avanti negli anni tratta Mémorable di Bruno Collet, vincitore del più ambito Cristal come miglior corto animato, ma anche del premio del pubblico (sintonia perfetta fra giuria e spettatori, come ha evidenziato il direttore Marcel Jean, espressa anche con la doppia affermazione parallela del lungomentraggio J’ai perdu mon corps di Jerémy Clapin). Realizzato con marionette in stop-motion, l’opera di Collet mette in scena con efficace sintesi la progressione della sindrome di Alzheimer nel pittore Louis. L’incalzante perdita di memoria ha inevitabili ricadute sul suo rapporto di coppia pluriennale con Michelle, ma l’ineludibile scombussolamento di equilibri stabilizzati nel tempo può rivelarsi inaspettatamente come opportunità di rinnovamento relazionale. Tempi e spazi perdono in definizione, gli oggetti si deformano, la materia si libra per aria in forma di molecole variopinte mentre la concentrazione sulla sensibilità intima e soggettiva è obbligata. L’assenza di ricordi duraturi induce a vivere intensamente il momento e a gioire di un presente ogni volta inedito. Permette a Louis anche di recuperare uno sguardo vergine su quanto lo circonda, a partire dalla moglie “magnifica e seducente” sconosciuta da ritrarre in tutta la sua ritrovata bellezza. Il film dell’animatore bretone è ispirato al percorso del pittore britannico William Utermohlen che, prima di ricoverarsi per Alzheimer, realizzò una serie di autoritratti. Collet però non si appiattisce sulla ricostruzione biografica, bensì prende lo spunto per sviluppare una storia d’amore maturo intrecciato all’elogio della bellezza e dell’arte. La tecnica stessa dei pupazzi scolpiti e dipinti a mano favorisce la simultanea rappresentazione realistica e figurativa con la corposità materica manufatta. Del resto Louis, preso da rinato fervore creativo, abbandona i pennelli per dipingere con le mani che “risvegliano l’anima dell’uomo primitivo che dorme in alto”.

Dal disagio comunicativo fra figlia e padre scaturisce la situazione presentata in Daughter della debuttante Daria Kashcheeva. Riconosciuto come miglior film di diploma –la giovane animatrice céca ha alle spalle la prestigiosa Famu, scuola di cinema e tv di Praga- anche qui viene messo in scena con pupazzi in stop-motion il dramma generazionale espresso più per silenzi che per parole. Il dolore trattenuto e mascherato per la morte di un uccellino, l’incomprensione pragmatica del babbo solo occupato ai fornelli, l’identificazione fantasiosa della ragazza con la vittima, infine il ritrovamento di un filo, seppur tenue, di dialogo si intrecciano e dipanano nel compatto e intenso quarto d’ora del film. Per saldare la rappresentazione finzionale in cartapesta manufatta con la realtà delle sue emozioni e esperienze personali, l’autrice imprime all’opera un montaggio serrato di immagini “sporche” tipico di reportage televisivi con videocamera a mano in azione. La narrazione visiva assume così un sapore documentaristico dal vivo che bilancia la mimica e la gestualità rigide proprie delle marionette animate. Quasi immobili, occhi e bocche rivelano moltissimo l’acuta sofferenza per un malessere incompreso e la chiusura in sé che la nasconde ulteriormente. Così vicini, così distanti i due familiari si amano senza saperlo comunicare nemmeno con un abbraccio dato al momento di maggiore necessità. “Ho studiato i movimenti di macchina in Il figlio dei fratelli Dardenne e Le onde del destino di Lars von Trier, vedendoli inquadratura per inquadratura forse un migliaio di volte” –rivela Kashcheeva, riportata dalla testata web It’s nice that– “Ho filmato me stessa, poi inquadratura per inquadratura ho trasferito il movimento dei miei occhi alla faccia del pupazzo”.

Ancora dal punto di vista della bambina viene osservata la figura maschile adulta di riferimento in Tio Tomás della portoghese Regina Pessoa, premio della giuria nonché per la migliore musica originale (di Normand Roger) nella categoria cortometraggi. Qui il rapporto narrato è quello fra zio e nipote che è anche fra uomo, con tutti i suoi moti pregevoli assieme alle nevrosi e ossessioni, e ragazzina curiosa, ingenua, affascinata osservatrice. L’autrice lusitana da anni realizza con indipendenza opere artistiche in movimento (A noite), fondendo con il suo particolare stile nero-bianco incisivo sogni, paure e riferimenti autobiografici. Abbandonata la prima tecnica artigianale a base di incisioni su lastre di gesso per coadiuvarsi con la tecnologia digitale, ha mantenuto tuttavia uno stile caldo fatto a mano. Sottotitolo “la contabilità dei giorni”, Tio Tomás apre da subito con una carrellata di enumerazioni, inventari e conti a cui dà voce lo zio in compagnia di una musica dissonante e spiazzante. Occhiali, metri, coltelli, matite: una finisce in mano alla bambina che comincia a scrivere: “Caro zio Thomas, non avevi lavoro, non avevi moglie, non avevi figli”. E’ l’inizio della descrizione in soggettiva di un bella relazione famigliare, un graduale bilancio affettivo intriso di ammirazione, timore, simpatia, perplessità, innocente umanità.

Infine, con canoni tutt’affatto diversi, l’austriaco Thomas Renoldner ci mette faccia e corpo per sperimentare con i codici audiovisivi. Completamente indipendente e autoprodotto, il bizzarro corto di 8’ Don’t know what (premio Off-Limits) varia sul tormentone offerto dal titolo stesso. Al centro dello schermo, in bianco e nero con camicia a quadri e aria straniata, l’artista effettua una sequenza di vocalizzi e gesti minimali poi modulati elettronicamente per micro-ripetizioni, scatti repentini e campionature. L’uomo reale che “non sa cosa sta facendo” qui si muta in astrazione, e l’artista diventa la sua opera d’arte.