14POL1F01 PICCOLA POLI BORTONE
Si va bene, le decomposizioni non sono mai belle ma il centrodestra italiana vuol proprio strafare. Davvero grama, persino disperata, la condizione di un povero elettore di destra, come ce ne sono non tanti ma tantissimi. La Puglia, in questo caso, non è una regione tra tante ma lo specchio fedele di una situazione ovunque uguale, pur se a volte sotto traccia. Un breve riassunto, per i distrattissimi: Raffale Fitto, che è di Fi, corre in Puglia col suo candidato Schittulli, indicato da Fi, contro Adriana Poli Bortone, che è candidata da Fi ma con la tessera di Fdi in tasca. Solo che Fdi non è affatto convinta della candidatura in questione. Teme, guarda un po’ cosa vanno a pensare, che sia «una candidatura contro Fitto».

Ieri una riunione del gruppo dirigente fratellesco, di quelle che bisogna andarci con l’elmetto, si è conclusa con la dichiarazione solenne che solo se tutta Fi, dunque anche Fitto, sosterrà Poli Bortone i fratelli saranno con lei. 24 ore di tempo, poi sarà Schittulli e non se ne parli più. Lei, la candidata, comprensibilmente offesa, minaccia di strappare la tessera.

La Lega (ancora) Nord invece scalpita, prontissima a sostenere la meridionalissima sindaca che pure, sino a ieri, sapeva di stantio. E’ la stessa Lega che per crescere sotto Firenze contava e conta sul patto d’acciaio con la FdI di Giorgia Meloni. La stessa che ha appena scaricato con le cattive la candidata berlusconian-leghista: evviva la chiarezza. Per fortuna c’è l’Ncd che non sbanda. Sta con Fitto proprio perché deciso a non fare mai coalizioni con Forza Italia, che ormai, parola di Angelino l’ex delfino, «è solo la ruota di scorta della Lega». Se Fitto, formalmente, è pure lui di Forza Italia poco male: quel che conta è la sostanza. Già, però perché, nella sostanza, Stefano Caldoro (Forza Italia) lo si possa appoggiare a braccetto con gli scendiletto di Salvini non è mica tanto chiaro. Insomma, non è che si possa pretendere coerenza proprio sempre!

Lo spettacolo si commenta da sé è sparare sulla croce rossa non è commendevole. Ma una riflessione è d’obbligo: la diasastrosa pochade in corso dimostra che la destra italiana, nella seconda repubblica, non è mai esistita, non ha mai avuto un programma, un obiettivo, un’identità. Come la Jugoslavia del maresciallo Tito era tenuta insieme solo dalla persona fisica di Silvio Berlusconi. Morto (politicamente) lui si è dissolta. Tanto che ancora adesso le aggregazioni si formano o si disfano intorno al leader giunto politicamente al tramonto: c’è chi, come Alfano, Fitto o Fdi vuole metterselo al più presto alle spalle e chi, come la Lega, punta invece a risucchiare prima di tutto il suo bacino elettorale. Questo, non altro, sta succedendo in Puglia.

La nota dolente è che questa destra sgangherata e inesistente conta però sul sostegno potenziale di milioni di elettori, e probabilmente della maggioranza degli italiani. Il futuro politico della democrazia italiana dipende, in ultima analisi, da chi saprà colmare il vuoto lasciato da Berlusconi, non con il suo tramonto politico, ma con la sua incapacità, in un ventennio, di costruire alcunché al di là del suo potere personale. Bisognerebbe riconoscere a Gianfranco Fini, con tutti i suoi errori, la lucidità di aver intuito per tempo il disastro che si andava preparando, e di aver tentato di frenarlo.

Questa partita la sta giocando, sempre più evidentemente, anche Renzi. Il golden boy fiorentino sa perfettamente di piacere al popolo di destra molto più che a quello di sinistra, e fa il possibile per sedurlo. Incamerare nei suoi forzieri elettorali il vastissimo popolo di destra moderata, quello sì che lo blinderebbe al potere fino a chissà quando. Ed è precisamente in quella direzione che il timoniere di palazzo Chigi veleggia, con ottime possibilità di successo. Con un problemino: quella sinistra che ancora vegeta nel suo partito e che impaurisce il popolo di destra. La cosa migliore sarebbe spingerli senza dar troppo nell’occhio verso la porta. Un bel partito di sinistra, ovviamente piccolo, sarebbe la garanzia migliore per l’elettorato a cui mira Renzi. Non è escluso che il braccio di ferro sull’Italicum derivi proprio da questa necessità strategica.