Vi trovate in Europa a fine Ottocento e volete capire cosa si nasconda dietro il fervore delle nuove teorie sulla psiche. Ecco, allora, che alzate una tenda per osservare, tra fenomeni glossolalici e apparizioni sfuggenti, una seduta medianica. Di colpo siete colti da vertigine, diplopia e spersonalizzazione e venite trasportati in un altrove che è sempre stato qui. È questo vortice di «necessità non deterministica» ciò che fa pulsare quella macchina del tempo che è Teleplastia. Saggio sulla psiche interrotta, l’ultimo affascinante lavoro di Silvia Vizzardelli (Orthotes, pp. 194, euro 18).

Macchina del tempo che scorre lungo un nastro di Möbius, in cui si balza, incessantemente e senza causalità meccanica, da un dentro estraneo a un fuori intimo. Da una scena a un’altra. Diorama di scene, quindi, inteso a costruire un sentire che si smarchi dall’essenzialismo di «chi accetta quel che accade come un fatto» e di «coloro che insinuano il sospetto fin dal primo apparire di un fenomeno».

E IL FENOMENO È IL TELE, l’azione a distanza, ciò che, dal magnetismo animale all’entanglement, non ha mai smesso di inquietare i sogni della ragion pura. Vizzardelli insegue le tracce del delirio della materia, che è discreta e criptica; in una parola: sospesa, al contempo interrotta e metastabile. Il che non significa ripudiare il materialismo, bensì accettarlo fino in fondo, anche quando fa a pugni con il senso comune – dai balzi degli idoletti di Democrito alle intermittenze dell’oggetto a di Lacan.

Lasciandosi guidare dal «magnete» Blanchot e facendosi bucare dal perturbante della «relazione senza rapporto», l’autrice prende congedo dalla «logica disgiuntiva» dell’identità oppositiva per saltare verso una «logica della correlazione» «ontologicamente mostruosa», ossia dal correlazionismo antropocentrico a un’im/potente risonanza tra l’umano e il mondo, in cui il primo perde in «presa» per guadagnare in «portata».

Dalla fessura dalla quale avete iniziato a sbirciare, vedrete che teleplastici sono il desiderio, il godimento, la filosofia, la scrittura, il sintomo. Che teleplastica è la magia fulminea degli eventi, come quando il frutto diventa frutto interrompendo il suo rapporto, non la sua relazione, con l’albero.

CHE TELEPLASTICO È L’IO nel suo non/rapporto con il trauma e ogni fenomeno che si scava dentro per albergare il fuori assoluto. Che teleplastica è, ovviamente, la psicoanalisi. Ma questo lo sanno anche gli infanti quando, tra sorpresa e paura, scandiscono: Fort/Da.