Eroi ma, preferibilmente, silenziosi. Il personale sanitario che racconta la propria esperienza deve poi mettere in conto possibili richiami disciplinari e persino il licenziamento. La denuncia arriva dal gruppo Facebook «Coronavirus, Sars-Cov-2 e Covid-19 gruppo per soli medici» (100mila iscritti). Hanno inviato una lettera aperta al ministro della Salute per chiede il ritiro dei provvedimenti già attuati, la loro abolizione e il reintegro di chi è stato allontanato. «Colleghi che hanno osato lamentarsi della mancanza di strumenti di tutela, per loro stessi e per i pazienti, hanno in corso procedimenti disciplinari e non possono nemmeno denunciarlo – spiega Paolo Mezzana, medico di Roma e uno dei 30 moderatori del gruppo -. Se volessero parlarne a un giornalista dovrebbero farlo come i mafiosi, a volto coperto».

AL MINISTRO HANNO SCRITTO: «Al burn-out si aggiunge lo stress legato ai provvedimenti disciplinari di varie aziende sanitarie, pubbliche e private, che appaiono, a nostro avviso, come un abusivo esercizio del potere disciplinare». Francesca Perri è dirigente medico dell’azienda Ares 118 del Lazio in servizio a Roma e sindacalista Anaao. Il 6 aprile a Il Tempo, in un articolo a più voci, ha rilasciato una breve dichiarazione: «Ho denunciato che stavano cominciando a scarseggiare i guanti – racconta -, ci sanificavamo da soli le ambulanze e non ci facevano i tamponi, un tema su cui l’Anaao ha fatto una campagna nazionale. Il rischio è che da curatore diventi untore».

Il 30 aprile è arrivato il provvedimento disciplinare: avrebbe diffamato l’immagine dell’azienda con notizie non vere. È stata convocata in commissione disciplinare l’11 giugno, ha dovuto portare una memoria difensiva redatta con gli avvocati per rispondere punto su punto, accusata persino per dichiarazioni non sue. Il 23 settembre è arrivata la sanzione disciplinare: 30 giorni di sospensione senza stipendio a partire dal primo novembre e nota nel fascicolo personale. Ha fatto ricorso e, intanto, continua a lavorare: «Facciamo i salti mortali per coprire i turni e poi veniamo colpiti con una norma nata per le aziende private e che ora si applica nel pubblico – conclude Perri -. Io cerco di tutelare la sicurezza dell’equipaggio che lavora con me, a stretto contatto con i pazienti e a grande rischio di infettarsi. Mi sono fatta carico di spiegare le criticità in quanto sindacalista ma anche dirigente, responsabile della sicurezza di chi collabora con me. E sono io che danneggio l’azienda? Quando è stata sospesa la libertà di parola?».

LE PRESSIONI SUL PERSONALE sanitario si moltiplicano. «Negli ultimi 30 giorni in Campania si sono contagiati 18 colleghi, c’è una situazione sull’orlo della deflagrazione – la denuncia di Antonio De Palma, presidente del sindacato degli infermieri Nursing Up – eppure nessuno racconta di questo possibile collasso. All’Ospedale del Mare ci sarebbero 200 posti letto in più se ci fosse il personale. Ci sono 21 colleghi in prima linea contro il Covid e di questi solo 6 sono fissi, gli altri sono precari, con contratto che scade il 31 dicembre». È ancora il sindacato a denunciare: «Il Cardarelli e il San Giovanni Bosco di Napoli sono ai primi due posti per infermieri contagiati. Dieci anni di tagli hanno portato l’Asl Napoli 1 da circa 13mila a 7.200 dipendenti».

TRA LE CORSIE C’È PAURA ad esporsi, Mario De Santis (referente campano di Nursing Up) invece racconta: «Gli infermieri stanno rifiutano i contratti precari perché in molte regioni, dopo aver sopportato fatica e rischi della fase 1, hanno avuto il benservito. Vanno a lavorare in Germania, sono molto richiesti perché quella italiana è la migliore formazione europea. In Campania, invece, sono precari, sbattuti in prima linea, terrorizzati di non avere il rinnovo del contratto. Da mesi chiediamo test tutti giorni e tampone ogni 20, invece i controlli arrivano solo dopo che la catena del contagio è iniziata».

Ma quanto guadagna un infermiere che lavora al Covid center dell’Ospedale del mare, quello nei container? Ce lo raccontano in anonimato: «Prende lo stipendio base di circa 1.600 euro, non ha l’indennità malattie infettive di 2,05 euro al giorno, non ha avuto il bonus premio della regione di 1.100 euro. Stanno lì muti e lavorano con la depressione addosso. Fanno rotazioni massacranti, sono in 4 per 30 pazienti di ordinaria. Se non arriva il cambio, il turno può durare anche 12 ore».