Un veloce accordo estivo tra Pd e Forza Italia, in particolare fra il segretario dem Dario Parrini e lo storico proconsole di Denis Verdini, Massimo Parisi, porta in dono alla Toscana una nuova legge elettorale, subito sospettata di incostituzionalità dal vicepresidente emerito della Consulta, l’autorevole Enzo Cheli. “La nuova legge – osserva a caldo Sandra Bonsanti di Libertà e Giustizia – fa rimpiangere le precedente”. Insomma un disastro. E visto che dal “cinghialum” toscano del 2005 era nato il “porcellum” di Roberto Calderoli, in vista della discussione parlamentare sul cosiddetto “italicum” già si sprecano le battute sui ricorsi storici.

Il blitz del duo Parrini-Parisi ha comunque fatto discutere. A tal punto che perfino otto consiglieri dem su 24 hanno deciso di non partecipare al voto finale – alle 5.41 del mattino dopo venti ore di dibattito – dopo aver denunciato che l’accordo fra il loro partito e i berluscones aveva azzerato di colpo una ben più ecumenica discussione che andava avanti da tempo. A peggiorare ulteriormente le cose c’è un cervellotico meccanismo di scelta dei candidati da parte degli elettori, con il ripristino delle preferenze ma al tempo stesso un “minilistino” bloccato di tre nomi – richiesto espressamente da Forza Italia – che i singoli partiti possono adottare. Senza però i nominati possano comparire sulla scheda elettorale, che si limiterà a segnalare la scelta fatta da ogni singola forza politica.

C’è di più: per la nuova assemblea toscana, che passerà a 40 consiglieri dagli attuali 55, c’è un premio di maggioranza che prevede il 60% dei seggi se si consegue più del 45% dei voti, e il 57,5% dei seggi a chi prende tra il 40% e il 45%. Inoltre è previsto il ballottaggio nel caso che nessun candidato presidente raggiunga il 40%. E quanto alle soglie di sbarramento, il bizantinismo della nuova legge raggiunge livelli impensabili: si passa dal 10% per le coalizioni al 5% per le liste non coalizzate o comunque facenti parte di coalizioni che non superano lo sbarramento del 10%, fino al 3% per le liste all’interno di coalizioni.

“Questa è una legge che se ne frega dei richiami della Corte Costituzionale sull’uguaglianza del voto – osserva Monica Sgherri di Rifondazione comunista – e che spinge a non andare a votare. L’effetto dell’applicazione variabile delle soglie di sbarramento sarà quello di avere coalizioni che non eleggono alcun consigliere pur avendo superato il 10% dei voti, perché nessuna lista supera il 3%. Oppure lo supera una sola lista, e si prende tutti gli eletti di quella coalizione. Per giunta, mentre si plaude alla reintroduzione, giusta, delle preferenze, si ha una differenziazione anche con la previsione del listino che eleggerà i ‘privilegiati’, che per le liste più piccole rischiano di essere gli unici. Infine, con questa previsione di ballottaggio, si permetterà di avere una salda maggioranza a chi magari prende il 25% dei voti”.

Anche Sel ha votato contro. Insieme a Rifondazione, i vendoliani avevano presentato in aula una legge uguale a quella recentemente approvata (all’unanimità) in Emilia Romagna, ricordando come quest’ultima coniugasse le esigenze di governabilità con quelle di rappresentanza. Tutto inutile. “Come nel 2005, anche oggi è stata approvata una legge sbagliata su cui già pendono ricorsi per incostituzionalità – tira le somme Giuseppe Brogi – e noi siamo stati sempre contrari sia al listino bloccato facoltativo che azzopperà le preferenze, sia alle alte soglie di sbarramento che, unite al premio di maggioranza, lasceranno migliaia di elettori senza rappresentanza”. Per quello che i tanti oppositori, compresi Ncd e Fdi, hanno già ribattezzato il “pateracchio” Renzi-Berlusconi in salsa toscana.