La laurea in Scienze politiche e una profonda conoscenza della fotografia, nutrita da un lato dalla passione e dall’altra dalla rabbia per la consapevolezza che il grande patrimonio fotografico italiano all’estero «non è riconosciuto né tanto meno celebrato, semplicemente non esiste sulla scena», ha portato nel 2014 Donata Pizzi a dar vita alla sua collezione.
«Era importante definire un’area ristretta di ricerca», afferma la fotografa-editor. Una raccolta, la sua, dedicata alla valorizzazione del lavoro delle autrici italiane di cui viene ospitata al Museo di Santa Giulia di Brescia la mostra Dietro l’obiettivo. Fotografe italiane 1965-2018 (a cura di Alessandra Capodacqua) nell’ambito della III edizione del Brescia Photo Festival – Donne promossa da Comune di Brescia, Fondazione Brescia Musei e Ma.Co.f. – Centro della fotografia italiana (fino all’8 settembre).

UN NUOVO APPUNTAMENTO dopo quello della Triennale di Milano, del SiFest di Savignano sul Rubicone e di Palazzo delle Esposizioni a Roma. Attraverso cento immagini di fotografe italiane appartenenti a diverse generazioni, da Letizia Battaglia a Paola Agosti, da Lisetta Carmi a Gea Casolaro, da Simona Ghizzoni a Lina Pallotta, da Marcella Campagnano a Marilisa Cosello, da Anna Di Prospero a Paola Mattioli, da Giada Ripa a Marialba Russo, da Elena Givone ad Alba Zari vengono ripercorsi cinquant’anni di storia politica e sociale dell’Italia. «Una collezione con un ordine cronologico, dal ’65 ad oggi, può significare anche una linea di sviluppo interessante per raccontare quanto la fotografia sia profondamente cambiata nel tempo. Basti pensare al passaggio dall’analogico al digitale e, naturalmente, alla storia delle donne. Partendo dai reportage sociali di Carla Cerati, Letizia Battaglia e Paola Agosti si arriva a lavori iper-concettuali come quelli di Rä di Martino e Alba Zari. In questo svolgimento ci sono dei passaggi intermedi che, secondo me, si legano in modo visibile e logico. Questa collezione è un mio autoritratto e, in un certo senso, si è autocreata perché un’autrice ne ha chiamato un’altra. Così il lavoro dell’una è il passo successivo dell’altra».

SEMPRE NELL’AMBITO del Brescia Photo Festival, Donata Pizzi è curatrice con Mario Trevisan anche della mostra Autoritratto al femminile. In questo sguardo esclusivo il rapporto diretto con le fotografe, di cui Pizzi sottolinea la serietà nella ricerca e nel modo di lavorare con coraggio, è certamente un valore aggiunto. «Tutta la collezione è dovuta al feedback con loro. Non avrei mai potuto, ad esempio, raggiugere Marialba Russo, che è una persona molto riservata, senza il tramite di Letizia Battaglia. Sicuramente il fatto che nella collezione ci fosse Letizia ha spianato molto la strada. Lei è una grande ispiratrice per tutte. La più anziana è Lisetta Carmi e le sue immagini sono state anche le prime che ho comprato. È un faro».

LA RACCOLTA è costituita prevalentemente da fotografie vintage «come quelle di Paola Conchiglia, che mi ha fatto conoscere Paola Agosti. Era la sua maestra. Questa fotografa formidabile si è sempre occupata di Africa collaborando con testate come Le Monde diplomatique e Jeune Afrique. Nel ’68 è andata in Angola, dove per due anni ha seguito il Fronte Nazionale di Liberazione dell’Angola. Di quel reportage infinito ho una ventina di foto dove si vede l’educazione di un popolo alla rivoluzione, ma anche l’alfabetizzazione, la distribuzione delle medicine. Tutte realtà che la fotografa ha seguito dall’interno. C’è una anche una foto minuscola e tutta macilenta di Neto, primo presidente dell’Angola indipendente che è stata usata per realizzare la prima banconota del paese».

Un’altra opera significativa è Cosa ne pensi del movimento femminista? (1974) di Paola Mattioli: «Era la scatola della cipria di sua madre, prima donna magistrato in Italia. Paola ha confezionato questo gioco per il padre, foderando l’interno della scatola con le fotografie della prima manifestazione femminista a Milano. Aprendola, il padre si ritrovava rispecchiato e contornato da tutte quelle donne. Il vero cambiamento è lì. Del resto, alle manifestazioni femministe difficilmente ci andavano i fotografi uomini, ma le fotografe sì».