«Nel caso in cui prevarrà il no, non cambierà nulla», scandisce Giuseppe Conte parlando agli iscritti a proposito della consultazione online che si chiude oggi alle 12 sulla possibilità che il Movimento 5 Stelle acceda ai finanziamenti pubblici del 2 per mille destinati ai partiti.

Il capo politico fa leva sulla voglia di cambiamento e sulla necessità di evolversi, si appoggia alla scelta che era stata già fatta un anno fa agli Stati generali di andare oltre un punto cardinale della storia del M5S. Si muove in equilibrio tra continuità e rottura. «Per accedere al 2 per mille dobbiamo iscriverci al registro nazionale dei partiti e siamo obbligati a strutturarci di conseguenza. Il M5S deve evolversi, lo sappiamo tutti. Ma non è detto che lo debba fare diventando come gli altri partiti», attacca Danilo Toninelli. E allora Conte si vede costretto a spiegare al forum online del Corriere della sera che il M5S «resterà un movimento, non sarà un partito in senso tradizionale, anche perché credo che i partiti stiano vivendo una crisi d’identità e vadano verso i movimenti».
Tuttavia, spiega ancora Conte per motivare la necessità di fondi che sorreggano la nuova infrastruttura organizzativa, «ci sarà una maggiore articolazione interna, una maggiore distinzioni di ruoli e apporti». «Le decisioni verranno prese insieme, prima c’era un solo leader ora invece ci sono vari organismi, in quella sedi si discuterà e maturerà la volontà politica», dice l’ex premier, consapevole anche del fatto che l’iscrizione all’elenco delle forze politiche che accedono al 2 per mille comporta anche l’obbligo di istituire garanzie minime di dialettica e forme di democrazia interna.

Conte ha deciso che il voto sui nuovi organigrammi non si celebri contestualmente alla scelta sul 2 per mille, il che riduce di un po’ la sensazione che questo sia effettivamente un referendum sulla sua persona. Le voci che vogliono Beppe Grillo contrario a questa nuova rottura con le origini si rincorrono, ma il silenzio del Garante sul tema deve essere interpretato come un segnale di non belligeranza. Non si sono schierati in forma esplicita neppure figure di primo piano come Luigi Di Maio e Virginia Raggi. Il primo ieri ha dichiarato che in Francia voterebbe Emmanuel Macron entrando in contraddizione non solo con il Di Maio che andò Oltralpe a caccia di gilet gialli da arruolare alla causa europea del M5S ma anche con le intenzioni dei grillini a Bruxelles e Strasburgo di entrare nel gruppo dei Socialisti e democratici. Quanto all’ex sindaca di Roma, deve ancora decidere cosa fare da grande. Difficile che si limiti a fare la consigliera comunale. Per adesso tiene d’occhio la partita delle elezioni suppletive per la Camera nel collegio di Roma Centro. Si vota il 16 gennaio, la scelta del candidato del centrosinistra allargato al M5S arriverà tra pochissimo ed è difficile che Raggi non si consideri legittimata a mettere bocca su quel nome.