Un’ondata repressiva sta investendo chi manifesta pacificamente per la protezione dei territori e per la giustizia climatica. È quanto emerge dal rapporto «Diritto, non crimine. Per la Madre Terra, la giustizia sociale, ambientale e climatica». Il report a cura della Rete in Difesa e dell’Osservatorio Repressione, è scaturito da un gruppo di lavoro promosso all’indomani della visita nell’aprile 2023 in Italia di Michel Forst, relatore speciale delle Nazioni Unite per i difensori dell’ambiente, unendo avvocati e legali dei movimenti No Tap, No Tav, Greenpeace Italia, Amnesty International Italia, Yaku, A Sud, Extinction Rebellion XR! Italia, Fridays for Future, Ultima Generazione, Osservatorio Repressione, Per il Clima fuori dal Fossile, Controsservatorio Valsusa e Case Italia.

«La torsione repressiva vissuta da queste realtà è il riflesso di un fenomeno che da tempo persiste e si aggrava a livello internazionale e in Europa» spiega il report. In particolare negli ultimi mesi si è verificata un’impennata di azioni legali, arresti, multe e misure preventive, sanzioni pecuniarie spropositate contro attiviste e attivisti che insieme alle alte spese legali, stanno minando la capacità di iniziativa e pregiudicando il diritto alla libertà di associazione. Il portavoce della Rete, Francesco Martone, precisa: «Una situazione già grave che sarà peggiorata dal pacchetto sicurezza al momento in discussione al Senato che prevede un inasprimento delle pene per chi pratica blocchi stradali». Il ddl Sicurezza ribattezzato dall’opposizione «anti Gandhi», approvato una settimana fa alla Camera, prevede l’introduzione di reati e circostanze aggravanti specificamente modellati sulle proteste ambientaliste.

«Anziché continuare a reprimere il dissenso nonviolento e alimentare una narrazione anti ambientalista – afferma Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia – politica, aziende e finanza dovrebbero comprendere che stiamo correndo un serio pericolo e ascoltare finalmente la voce di chi protesta per attuare misure concrete e mitigare gli effetti del surriscaldamento globale». La repressione si abbatte sui giovani ma non risparmia nemmeno anziani e malati. Ancora oggi la settantottenne Nicoletta Dosio, sta scontando nuovamente gli arresti domiciliari (dopo mesi di carcere e arresti domiciliari nel 2020-2021) comminati per manifestazioni nonviolente contro i cantieri Tav.

Da tutta Italia oltre 40 associazioni e personalità (130 associazioni, comitati, e 431 singoli cittadini tra cui Alex Zanotelli e Zerocalcare) hanno scritto a Mattarella: «Vogliamo denunciare l’inaccettabile livello di accanimento nei confronti di Nicoletta Dosio persino il giorno (il 28 giugno ndr) in cui è venuto a mancare suo marito Silvano Giai: dopo poche ore, Dosio si è trovata a subire l’intrusione dei Carabinieri per l’ennesima “notifica di diffida” motivata dalla supposta “mancata risposta” alla scampanellata di controllo che avrebbe avuto luogo verso le 2 di notte del 6 giugno scorso, quando la donna, affaticata dal prolungato dovere di accudimento del marito malato terminale, si era finalmente assopita».

Ai Carabinieri che le notificavano la diffida, Nicoletta Dosio avrebbe chiesto un po’ di privacy per la recentissima morte del marito, rifiutandosi di controfirmare la ricevuta di notifica in quanto immotivata, i Carabinieri avrebbero risposto, secondo chi era presente: «Stia attenta perché, con questa condotta, rischia di finire molto male». L’appello chiede la libertà per Nicoletta, la fine dell’accanimento repressivo, del controllo effettuato in modo disumano e degradante che trasforma il proprio ambiente di vita nel peggior carcere, e obbliga una donna anziana e inoffensiva a restare totalmente isolata per un anno e mezzo.