La redistribuzione dei profughi in Europa non sarà obbligatoria, ma gli Stati «decideranno per consenso» di accogliere nei prossimi due anni una parte dei 40 mila tra eritrei e siriani sbarcati in Italia e Grecia, ai quali si aggiungeranno altri 20 mila profughi che si trovano oggi nei campi allestiti in Africa. Al termine di una notte durante la quale non sono mancati i toni accesi, è questa la soluzione raggiunta dal Consiglio europeo per fronteggiare l’emergenza immigrazione. Nel linguaggio un po’ ipocrita della diplomazia di Bruxelles le tre parole «decideranno per consenso» rappresentanto la via d’uscita dallo stallo in cui l’Ue rischiava di restare impantanata. La ricollocazione di chi fugge da guerre e persecuzioni non sarà dunque obbligatoria, come proposto a maggio dalla commissione europea guidata da Juncker e come avrebbe voluto l’Italia, ma la formula trovata consente comunque a Matteo Renzi di dirsi soddisfatto per il risultato raggiunto e di cantare vittoria nei confronti dei Paesi dell’Est, i più restii ad accogliere nuovi profughi e che spingevano perché la scelta fosse volontaria. «E’ positivo che sia prevalso il principio europeo della redistribuzione dei richiedenti asilo sul tentativo di blocco da parte di alcuni Paesi», ha spiegato ieri il premier al termine del vertice dei capi di Stato e di governo.
La parola adesso passa al Gai, il summit dei ministri degli Interni in programma per il 9 luglio. In quella sede i governi renderanno note le cifre per il ricollocamento (Ungheria e Bulgaria potrebbero però essere escluse), dopo di che servirà almeno un altro mese perché i trasferimenti diventino operativi. Naturalmente se nel frattempo non saranno intervenuti altri ostacoli. L’altra notte, nei momenti di maggiore tensione, per qualche ora si è avuta l’impressione che a rischio non ci fosse solo un accordo tra gli Stati, ma molto di più. Prima lo scontro tra Juncker, fautore dell’obbligatorietà della ripartizione, e il presidente del consiglio Ue Donald Tusk che, dimenticando la neutralità impostagli dal ruolo, si schiera al fianco di Ungheria, Slovenia, Slovacchia, repubblica Ceca e Polonia a sostegno del principio della volontarietà. Poi la presa di posizione dura di Renzi: «Se non siete d’accordo sui 40 mila, non siete degni di chiamarvi Europa», dice il premier rivolto agli altri leader. «Se questa è la vostra idea di Europa tenetevela. O c’è la solidarietà o non ci fate perdere tempo». Toni inusuali per un vertice europeo, tanto che ore più tardi lo stesso Renzi cerca di smorzare. «Non ho mai alzato la voce, ma ci siamo fatti sentire», spiega.

In realtà rispetto alla aspettative della vigilia, il risultato raggiunto è poco più di un compromesso al ribasso, reso più accettabile dal fatto che può comunque rappresentare l’inizio di una nuova fase che a palazzo Chigi sperano possa portare a una revisione del regolamento di Dublino. Una strada ancora tutta in salita, come riconosce lo stesso Renzi: «E’ stato fatto un passettino in avanti» dice, ma «c’è ancora molto lavoro da fare».

Le resistenze dimostrate nell’accogliere i profughi si sciolgono invece come neve al sole quando si parla d i rimpatri dei migranti economici, sui quali i 28 sono invece tutti d’accordo. «Un obiettivo su cui stiamo lavorando con forza e su cui è stato fatto un grande passo avanti al vertice», dice con soddisfazione il ministro degli Interni Alfano ricordando come quello delle espulsioni «funziona meglio se è un sistema europeo».

Il piano messo a punto dal Viminale prevede l’apertura di quattro hotspot nei punti di sbarco dove i migranti potranno essere trattenuti al massimo per 48 ore per essere divisi tra coloro che hanno diritto a presentare domanda di asilo e quanti saranno invece espulsi perché irregolari. Passate le 48 pre, si effettuerà un primo trasferimento in hub chiusi e, successivamente, negli hub aperti situati nelle Regioni di destinazione da dove i richiedenti asilo verranno smistati nei centri Sprar, il Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati. Un meccanismo messo a punto dal Viminale, per nulla disposto ad ascoltare le proteste di chi, come i governatori di Veneto, Lombardia e Liguria, vorrebbero opporsi ai trasferimenti. «Quando i migranti arrivano sulle coste siamo costretti a dargli accoglienza, quindi anche davanti a un no delle regioni andiamo avanti lo stesso», ha ribadito anche ieri il prefetto Mario Morcone, capo del Dipartimento Immigrazione del Viminale.