Le richieste di asilo politico in Svizzera sono state 39.500 nel 2015, ha fatto sapere il Segretario di Stato per la migrazione Mario Gattiker. Un numero superiore alle 23.765 dell’anno precedente, ma affatto esagerato se paragonato al milione e passa di ingressi nella vicina Germania, per fare un esempio, o a quanto accade in Italia e in Francia. Eppure la destra anti-immigrati, forte del successo elettorale di pochi mesi fa, è partita all’attacco. Ha raccolto e depositato  65 mila firme con la richiesta di un referendum per depotenziare la legge sul diritto d’asilo voluta dal Partito socialista. Motivo: perché mira a «far venire nel Paese il massimo di immigrati illegali, oltre ai migranti economici attirati dal nostro sistema sociale», ha affermato il presidente dell’Udc Toni Brunner. I toni sono da crociata. La legge viene definita «inefficace e pericolosa», i suoi contenuti «scioccanti». Secondo la consigliera ginevrina dell’Udc Céline Amaudruz il referendum vuole evitare «di ancorare nella legge sull’asilo disposizioni che permettano ai migranti di prolungare il loro soggiorno sul nostro territorio e di imporci costumi risalenti ad altre epoche». Ad appoggiare il partito di maggioranza è pure la Lega dei ticinesi (primo partito nella Svizzera italiana), la cui consigliera nazionale Roberta Pantani ha sostenuto che bisogna mandare un segnale all’indirizzo di Berna: «Occorre cambiare rotta, trovare soluzioni concrete e applicabili per far fronte così al numero spropositato di domande depositate e non ancora evase, al crescente numero di abusi e ai cosiddetti migranti economici, nonché all’esplosione dei costi». Nel mirino ci sono soprattutto la gratuità dell’assistenza legale ai richiedenti asilo e il diritto attribuito alla Confederazione di espropriare privati e Comuni per insediare o costruire nuovi centri d’accoglienza.

L’offensiva della nuova maggioranza di destra-centro in Svizzera non si ferma qui. Berna ha deciso pure, in sintonia con la Francia di Francois Hollande, di espellere gli stranieri che delinquono. Ma il Partito socialista svizzero, a differenza di quello francese, si oppone, parlando di giustizia a due velocità e violazione dei diritti delle minoranze. In vista della votazione della legge, il Ps ha fatto appello a tutti i «nuovi cittadini elvetici», affinché respingano la proposta dell’Udc, che prende di mira le cosiddette «seconde generazioni» di immigrati. A fianco dei socialisti, un fronte composto da associazioni e movimenti. In una conferenza stampa, parlando volutamente in tedesco e in turco il presidente della sezione “migranti” del Ps, nonché consigliere a Basilea, Mustafa Atici ha spiegato che  «accettando l’iniziativa si cambierà fondamentalmente la vita di giovani nati e cresciuti in Svizzera, che sono coinvolti a livello economico, sociale e culturale, ma che non hanno ancora chiesto o ottenuto la nazionalità».

In questo contesto, l’accordo tra maggioranza e opposizione in Danimarca sulla proposta di legge che consente di confiscare i beni dei profughi per pagare le spese di accoglienza (stigmatizzata ieri da Bruxelles) ha fatto venir fuori la notizia  che in Svizzera una misura del genere è già praticata dal 1992. Lo ha rivelato la tv svizzero-tedesca Srf l’altra sera: nei centri di registrazione elvetici i richiedenti asilo devono consegnare alle autorità tutti i beni che eccedono il valore di 860 franchi (circa euro), per coprire le spese per le procedure d’asilo e del welfare. La televisione ha mostrato la ricevuta di un profugo siriano, che aveva dovuto consegnare la metà dei contanti che aveva in tasca. La Segreteria di Stato della migrazione ha confermato l’esistenza della procedura, sostenendo che la legge esige dai richiedenti asilo un contributo per i costi di soggiorno e per l’assistenza sociale e che «se una persona se ne va di sua volontà entro sette mesi, potrà recuperare il suo denaro e in caso contrario esso coprirà le spese». Poi, una volta ottenuta la residenza, dovrà versare il 10 per cento del suo reddito per un periodo di dieci anni, fino a un massimo di 15 mila franchi.

Era nell’aria che, con la vittoria dei partiti anti-immigrazione, l’atmosfera politica sarebbe cambiata, in un Paese che praticamente non conosce la disoccupazione ma che si trova a fare i conti con una crescita zero e la temuta deflazione, né più né meno che il resto d’Europa dalla quale si tiene fuori. La mossa di sganciare il franco dall’euro ha provocato un buco di oltre 20 miliardi nelle casse dello Stato nel 2015, e la reazione della maggioranza dei cittadini è stata di proteggersi ancora di più. Ma le conseguenze potrebbero essere ancora peggiori: se il nuovo governo dovesse dar seguito al referendum contro la libera circolazione approvato nel 2014, perderebbero ogni possibilità di accedere ai finanziamenti europei.