Da anni politiche di deciso respingimento dei migranti stanno causando incredibili sofferenze e morte. Non ci si fa scrupolo di esibire il più spietato cinismo. Un cinismo irresponsabile che si rivolge verso le vittime, ma che, nel contempo, è altrettanto spregiudicato nei confronti dei «protetti» da una presunta minaccia esterna.

Infatti s’inganna spudoratamente l’opinione pubblica sui vantaggi che invece politiche d’integrazione di un numero ben maggiore di migranti recherebbero ai paesi dell’Unione europea in termini di riequilibrio demografico, di crescita economica, di sostegno del welfare e delle finanze pubbliche.

AL CONTRARIO, s’insegue la facile demagogia xenofoba delle destre per contendere il vantaggio elettorale che esse traggono dal fornire false sicurezze e indicare inesistenti pericoli esterni. Ma in questo modo le si rafforza sempre di più. E la gara, tutta negativa, ingannevole e irresponsabile, nel respingere i migranti non fa che crescere su se stessa.

Il risultato è una deriva a destra che investe sempre più l’Europa. Si può cominciare dalla Brexit e accennare alle situazioni, variamente, emblematiche di non pochi paesi. In Polonia, Ungheria, Austria, Belgio partiti di destra sempre più radicalizzati governano in alleanza con formazioni di destra estrema. In Danimarca il governo di centro destra per avere la maggioranza dipende dai voti del partito nazionalista. Partiti nettamente di destra fanno parte dei governi in Finlandia e in Slovacchia. In Svezia i voti di una destra radicale in ascesa, sommandosi a quelli del vecchio centro destra, hanno determinato una situazione molto instabile.

Anche là dove i partiti nazionalisti non hanno sfondato, come in Olanda, Francia e Germania, la loro ipoteca condiziona non poco gli equilibri politici. Si guardi al notevole calo di consensi a Macron o ai contrasti interni dell’esangue coalizione tedesca. Per non dire della crescita di consensi alla Lega in Italia. In altri paesi ancora, al di là di situazioni affatto particolari, non spirano certo venti progressisti.

SICCHÉ la prospettiva che si delinea con le prossime elezioni europee è quella di una prevalente chiusura in politiche nazionaliste e razziste. Con il che naufragherebbero del tutto premesse e obiettivi della stessa costituzione dell’Unione. C’è d’aspettarsi, quindi, che si giunga ad un suo scioglimento? Si tratta di un’ipotesi che, sia pur paventata da qualcuno, appare poco credibile.

È molto più verosimile che dovremo conformarci ad un’Unione ridotta a mera impalcatura di norme e vincoli monetari, priva di autentico sviluppo sociale e politico. Non molto diversamente da come già è. Se possibile, anche peggio.

Né c’è da sperare che questo rovesciamento indietro – peraltro in atto da tempo- induca a qualche resipiscenza o tentativo di correzione di politiche comunitarie responsabili di ripetuti fallimenti economici, alti costi sociali e rovinosa unilateralità politica.

TUTTO CIÒ non è certo frutto del caso né determinato da un meccanismo automatico e fuori controllo. Le chiusure nazionaliste e la leva xenofoba sono piuttosto gli strumenti ora impugnati dai gruppi economici e politici dominanti nei paesi del tardo capitalismo e confacenti all’involuzione autoritaria che li caratterizza, in modo sempre più accentuato, dagli anni ’90.

L’involuzione di un blocco di potere che, non pago di aver ridotto a mera rappresentazione il funzionamento della democrazia rappresentativa, aver eliminato ogni mediazione e compromesso nei rapporti sociali, sempre più insofferente di pensiero critico, stringe i ferri di un autoritarismo costitutivo.

Ma ciò porta all’inibizione dei mutamenti che rendono possibile l’evoluzione sociale. Mutamenti di cui i flussi migratori sono sempre stati componente vitale.