Code interminabili di persone vestite alla meno peggio, a volte in ciabatte, in coda sotto la neve per un pasto al giorno; baracche improvvisate nel bosco o fra gli scheletri del campo bruciato dove si cerca di riscaldarsi attorno a un falò, acqua non potabile presa da tubi di scarico.

Le immagini sconvolgenti che arrivano da Bihac, in Bosnia, dopo l’incendio del campo profughi di Lipa, indicano un dramma che è in corso da tempo nel cuore dell’Europa. Sono anni, da quando l’esplosione della crisi siriana ha aperto una breccia attraverso i Blacani, che lungo queste rotte si verificano violenze, negazione di diritti, stato di abbandono: questo significa la politica di respingimenti messa in atto dall’Europa.

La rete RiVolti ai Balcani, costituita nel 2019 da 34 associazioni e realtà impegnate a difesa dei diritti delle persone e dei principi fondamentali sui quali si basano la Costituzione italiana e le norme europee e internazionali, da tempo denuncia le condizioni di vita di migranti e rifugiati lungo la rotta balcanica. Ieri, dalla nave Mare Jonio in collaborazione con Mediterranea Saving Humans, ha presentato la seconda edizione del dossier di RiVolti ai Balcani «La rotta balcanica. I migranti senza diritti nel cuore dell’Europa».

La prima edizione era stata presentata a Milano lo scorso 27 giugno 2020, con dati aggiornati sulle violazioni in atto lungo le rotte migratorie della penisola balcanica – dalla Grecia alla Slovenia, attraverso la Bosnia Erzegovina – fin dall’accordo tra Unione Europea e Turchia del marzo 2016, con il quale l’Ue ha di fatto delegato ad Ankara il controllo di parte delle proprie frontiere esterne.

Questo secondo rapporto si concentra sulla frontiera che l’incendio del campo di Lipa ha messo sotto i riflettori, quella Croato Bosniaca. La regione dal 2018 è diventata il collo di bottiglia della rotta balcanica, via di transito che, dovendo le persone spostarsi in base alle possibilità, ha cambiato faccia in questi anni con le varie chiusure, come quella dell’Ungheria.

Ecco quindi la Bosnia, regione lacerata, i cui cittadini quando erano iniziate le migrazioni avevano dato supporto e aiuti alle persone in transito, diventare il bacino di raccolta del meccanismo dei respingimenti a catena che avvengono alle frontiere europee: in Croazia, in Slovenia, in Italia, ed implodere schiacciata dal braccio di ferro fra autorità europee, governative e locali. Una catastrofe annunciata quelle 1500 persone senza riparo, dice Silvia Maraone (cooperante da due anni Bihac con Ipsia, Ong delle Acli,che lavora nei Balcani dal 1997.

Dati inquietanti di una violenza generalizzata dice Gianfranco Schiavone di Asgi:- Associazione studi giuridici sull’immigrazione: i respingimenti sono illegali perché si impedisce di accedere ai meccanismi contenuti nelle politiche europee che prevedono tutele, come la protezione internazionale. Secondo il Danish Refugee Coucil solo da marzo 2019 sono state respinte dalla Croazia verso la Bosnia 21 mila persone, un numero tale da escludere che avvenga per effetto di azioni isolate e locali, ma che parla di un’operazione pianificata. Inoltre, sempre secondo il rapporto, il 60-70% delle persone respinte ha subito violenza.

La Slovenia ha partecipato a questo meccanismo, con 9 mila respingimenti che vengono chiamati «riammissioni».
«Il problema è l’Europa – continua Schiavone – ad aver fatto una scelta politica che la fa sprofondare in un abisso di violenza». Quello che si vede in queste ore in Bosnia come lo scorso anno in Grecia, è la politica dei respingimenti che è il cuore della crisi umanitaria perché crea questi tappi.

Anche l’Italia fa la sua parte nella catena di respingimenti illegali. Nel corso del solo 2020 ha respinto 1300 persone, e questo è avvenuto senza che vi fossero provvedimenti formali: e senza notifiche non si può fare nessun ricorso; procedura messa in atto anche con i richiedenti asilo ed è ammessa pubblicamente: la ministra dell’interno Lamorgese pochi giorni fa in audizione parlamentare ha riconosciuto che le procedure di riammissione sono illegali nei confronti dei richiedenti asilo.