Lavoro

Professore a contratto, un lavoro senza diritti

Professore a contratto, un lavoro senza dirittiLuca Toselli, docente, scrittore e "progettista multimediale"

Università Questa è la storia di Luca Toselli, docente, e di altre 42.649 persone «invisibili» che tengono in vita gli atenei dopo il taglio epocale di 1,4 miliardi di euro al fondo ordinario di finanziamento

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 28 settembre 2013

«All’università chi insegna a contratto lo fa per passione, non per soldi né per potere» afferma Luca Toselli. Con 1500 euro netti all’anno, tanto riceve dall’Università dell’Insubria a Como, «non si riesce a vivere». Bisogna fare altri lavori, come fanno milioni di freelance e precari in Italia. Il progettista multimediale (Bollati Boringhieri) è uno dei libri che ha scritto. Poi, Luca ha realizzato un sogno: creare la sezione dedicato al video dal museo del cinema di Torino. Oggi lavora anche come insegnante precario a scuola, iscritto in terza fascia. Ogni anno, a settembre, aspetta la chiamata dei presidi. D’estate percepisce il sussidio di disoccupazione. Cinquantuno anni, due figli, un’esperienza ventennale nell’insegnamento del cinema e della televisione negli atenei di Torino e Milano, Toselli è un lavoratore indipendente con un curriculum lungo una quaresima, apprezzamenti professionali, ma purtroppo nessuna tutela sociale. «Non ho vergogna a dire – aggiunge il docente – di avere chiesto un alloggio in cohousing a Torino a prezzi agevolati».

Da quando è stata istituita con la riforma Berlinguer-Zecchino, la figura del contrattista all’università è cambiata. Per la gran parte oggi è costituita da un esercito di lavoratori sottopagati che, secondo i dati forniti dalla Flc-Cgil, nel 2011 annoverava 42.649 membri. I docenti esterni si distinguono in tre categorie: c’è chi insegna per gli infermieri, i radiologi o i fisiatri; ci sono i liberi professionisti (come Toselli, ma anche Freccero, Santoro o Costanzo che certo non hanno i suoi problemi economici). Ci sono i ricercatori precari che sono costretti in alcuni casi a insegnare in cambio di una retribuzione simbolica (1 euro) per un corso in un semestre, gli esami e le tesi. Tutti hanno la stessa responsabilità legale di un professore ordinario. A seguito dei tagli Tremonti-Gelmini da 1,4 miliardi agli atenei, i corsi di laurea restano in piedi grazie a questi invisibili.

«All’università può succedere di parlare agli studenti, ma loro non riescono a distinguerti dai professori ordinari. Potrai anche essere il più bravo del mondo, ma se non sei legato ad una cordata accademica continuerai a insegnare a contratto». Insegnare a queste condizioni serve forse a far decollare le sorti – sempre più incerte in realtà – della professione? «Se fai il medico forse sì – risponde Toselli – ma nelle nostre discipline non conta molto». Lui resiste con quella maledetta passione all’insegnamento in un’università che si è «licealizzata» e ha trasformato gli studenti in «clienti». «Inizialmente la riforma voleva modellare la formazione sul modello del mercato, oggi è diventato un Far West. Sull’altare dei tagli sono state sacrificate almeno due generazioni tra docenti e ricercatori. Invece bisogna tornare a investire, partendo anche dai professori a contratto. Bisogna dare loro la possibilità di essere assunti, anche solo a tempo determinato».

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