«È tragicomico leggere che toccherà agli storici del futuro giudicare se sia giusta o sbagliata la decisione di realizzare la Torino-Lione. Significa che qualcosa sta crollando, che spuntano crepe nel sistema, nonostante si continui a dire che l’opera s’ha da fare». Angelo Tartaglia commenta così il documento redatto dall’Osservatorio, istituito sotto la Presidenza del consiglio, in cui è stato sottolineato come «le previsioni di 10 anni fa siano smentite dai fatti». Tartaglia, già docente di Fisica al Politecnico di Torino, è uno dei membri della Commissione tecnica che supporta l’Unione Montana della Valle Susa e il comune di Torino.

Professor Tartaglia, sgombriamo il campo da ogni equivoco, qual è lo stato delle cose rispetto al progetto dell’alta velocità Torino-Lione?
La Francia ragionerà su cosa fare del tratto transfrontaliero dopo il 2030; da parte italiana, il Cipe ha dato, la scorsa estate, l’autorizzazione per l’avvio della realizzazione, per lotti costruttivi, della sezione internazionale. Per quanto riguarda la parte di pertinenza nazionale anche l’attuale ministro ha detto che non c’è bisogno di una nuova linea, rimane, quindi, aperto il discorso del tunnel di base. Il governo Macron non intende utilizzare finanziamenti ordinari dello Stato ma entrate straordinarie aggiuntive; per esempio, ha intenzione di incrementare il pedaggio dei camion, ma le tariffe addizionali non sono però ben viste dall’Ue. In Italia, nel 2009, è stata introdotta una normativa che, in caso di opere ritenute strategiche, consente di iniziare i lavori senza l’esigenza che ci sia il finanziamento complessivo dell’opera: lotti non funzionali. Partono i cantieri ma non si sa se finiscono. Ci furono iniziali rimostranze della Corte dei conti perché le opere rischiavano di diventare oneri passivi.

Nonostante se ne parli da quasi trent’anni, i lavori per il tunnel di base non sono ancora iniziati, siamo ancora in tempo per riaprire il confronto?
Lo spero, visti i dati sballati su cui si basa l’opera e l’annoso problema del debito pubblico. Rifacciamo un confronto onesto a partire dai numeri, sediamoci a un tavolo. Uno dei problemi fondamentali è che per queste grandi opere, considerate strategiche, manca una seria analisi di costi e benefici.

Che effetto le ha fatto leggere il documento governativo dell’Osservatorio dove si ammette che le previsioni sono state smentite dai fatti?
Un documento tragicomico. Qualcuno forse sta mettendo le mani avanti. Dicono che le previsioni erano sbagliate ma, paradossalmente, sostengono che il tunnel si debba fare lo stesso, come confermato, con giri di parole, dal commissario governativo Foietta. Le previsioni sono, in realtà, sempre state sballate. Alle origini, i proponenti dicevano che ci una voleva linea passeggeri perché, presto, sarebbero stati decine di migliaia al giorno. Invece, oggi sono duemila al giorno. A un certo punto venne abbandonata quella destinazione e si iniziò a insistere sulle merci, ripetendo che c’era un rischio di saturazione. Adesso del traffico ridotto si dà strumentalmente colpa alla crisi economica, che in verità era già stata inclusa nelle previsioni di Ltf, o all’Europa, per non aver fatto serie analisi. Tutti pretesti. La linea attuale ha una capacità di portata pari a 20 milioni di tonnellate, secondo Ferrovie, e almeno di 30 milioni per noi tecnici. Il trasporto tra Italia e Francia è molto importante (pari a 40 milioni di tonnellate l’anno, la maggior parte delle merci passa da Ventimiglia) ma non cresce per motivi strutturali, non perché non c’è il tunnel. Il traffico con la Svizzera cresceva anche prima del nuovo Gottardo. I traffici da Est a Ovest coinvolgono infatti mercati simili, mentre quelli da Nord a Sud, spesso da porto a porto, hanno il potenziale per merci aggiuntive.

Vi siete rivolti a chi si candida a governare spiegando che l’Italia si è impegnata a finanziare maggiormente un’opera che, in futuro, apparterrà per quasi l’80% allo stato francese. Ma il Tav è un argomento quasi scomparso in questa campagna elettorale. Come mai?
La ripartizione dei costi è favorevole alla Francia. Parigi non è mai stata entusiasta, la Corte dei Conti francese ha sempre dato pareri prudenziali, sostenendo che l’opera non fosse una priorità. Allo scioglimento di Telt le opere rimarrebbero di proprietà dello Stato su cui si trovano e, quindi, al 78% dello Stato francese nonostante l’Italia si farebbe carico del 57,9% dei costi. Noi abbiamo chiesto se i candidati ne erano al corrente o avevano intenzione di fare qualcosa. Ma di Tav, tranne rari casi, non si parla. Le maggioranze di centrosinistra e di centrodestra hanno sostenuto cose infondate e, ora, sono probabilmente in imbarazzo. Il Parlamento ha ratificato l’accordo tra Italia e Francia in base a informazioni scorrette, forzosamente sovrastimate, per questo motivo come Controsservatorio Valsusa abbiamo fatto un esposto alla Procura di Roma. È in gioco l’interesse del Paese ed è quello di cui si dovrebbe occupare una forza di governo.