Di fronte alla guerra scoppiata in Ucraina, il filosofo ecologista Bruno Latour è smarrito, sopraffatto dagli eventi: «Non so come tenere insieme le due tragedie», l’Ucraina e la tragedia del riscaldamento globale. L’unica cosa che afferma è che l’interesse per l’una non deve prevalere sull’interesse per l’altra. Non riesce a cogliere la loro relazione, eppure sono strettamente legate perché hanno la stessa origine. Latour, per capirci qualcosa, dovrebbe prima ammettere l’esistenza del capitalismo, che è il quadro nel quale le due guerre emergono e si sviluppano.

LA GUERRA TRA STATI e le guerre di classe, di razza e di sesso hanno da sempre accompagnato lo sviluppo del capitale perché, dai tempi dell’accumulazione originaria, sono le condizioni della sua esistenza. La formazione delle classi (degli operai, dei colonizzati, delle donne) implica una violenza extra-economica che fonda il dominio e una violenza che lo conserva, stabilizzando e riproducendo i rapporti tra i vincitori e i vinti. Non c’è capitale senza guerre di classe, di razza e di sesso, e senza Stato che abbia la forza e i mezzi per condurle! La guerra e le guerre non sono delle realtà esterne ma costitutive del rapporto di capitale, anche se da molto tempo sembra che ce ne siamo dimenticati. Nel capitalismo le guerre non scoppiano perché ci sono gli autocrati brutti e cattivi contro i democratici belli e buoni. La guerra e le guerre che si trovano all’inizio di ogni grande ciclo di accumulazione, si ritrovano alla sua fine. Nel capitalismo provocano catastrofi e disseminano la morte in maniera incomparabile con altre epoche storiche. Ma esiste un momento nella storia del capitalismo, all’inizio del XX secolo, in cui la relazione tra la guerra, lo Stato e il capitale si annoda in tal modo che il suo potere di distruzione, che è una condizione del suo sviluppo (il suo motore, dice Schumpeter definendola «distruzione creativa»), da relativa diventa assoluta. Assoluta perché mette in gioco l’esistenza stessa dell’umanità e le condizioni di vita di molte altre specie.

I SOSTENITORI DELL’ANTROPOCENE dibattono sulla data del suo inizio: il Neolitico, la conquista dell’America, la rivoluzione industriale, la grande accelerazione del dopoguerra ecc. Tutti evitano accuratamente di confrontarsi con la rottura che ha rappresentato la Prima guerra mondiale, le cui conseguenze nefaste continuano ad agire nel nostro presente. Il grande cambiamento che strutturerà la macchina bicefala Stato-capitale è avvenuto prima della crisi finanziaria del 1929, durante la guerra del 1914. La Grande guerra è una novità assoluta perché è il risultato di un’integrazione dell’azione dello Stato, dell’economia dei monopoli, della società, del lavoro, della scienza e della tecnica. Tutti questi elementi cooperano alla fabbricazione di una mega-macchina la cui produzione è finalizzata alla guerra. Ciascuno di essi ne uscirà profondamente trasformato: lo Stato accentua il potere esecutivo a discapito del potere legislativo e giudiziario per gestire l’«emergenza», l’economia subisce la stessa concentrazione del potere politico consolidando i monopoli, la società nel suo insieme e non solo il mondo del lavoro viene mobilitata per la produzione, l’innovazione scientifica e tecnica passa sotto il controllo diretto dello Stato e subisce un’accelerazione fulminea. Ernst Jünger, «eroe» della Prima guerra mondiale, la descrive come «gigantesco processo di lavoro» piuttosto che come un’«azione armata». La guerra è l’occasione per coinvolgere tutta la società nell’organizzazione dell’espansione della produzione che concerneva fino allora solo un piccolo numero di imprese.

«I paesi furono trasformati in gigantesche fabbriche capaci di produrre, alla catena di montaggio, eserciti per poterli mandare al fronte ventiquattrore al giorno, dove un sanguinoso processo di consumo, sempre completamente meccanizzato, giocava il ruolo di un mercato». Il coinvolgimento di tutte le funzioni sociali nella produzione (ciò che i marxisti chiamano la sussunzione della società nel capitale) nasce in questo frangente ed è segnata, e lo sarà per sempre, dalla guerra. Ogni forma di attività, «fosse anche quella di un operaio domestico che lavora alla sua macchina da cucire», è destinata all’economia di guerra e partecipa della mobilitazione totale. «Accanto agli eserciti che si scontrano sui campi di battaglia, nascono i nuovi eserciti delle comunicazioni, del vettovagliamento, dell’industria militare: in generale l’esercito del lavoro», al quale aggiungere l’esercito della scienza e della tecnica. La logistica fa passi da gigante e si dimostrerà molto più efficace delle reti commerciali del capitale. È in questo senso che la guerra è «totale». Esige la mobilitazione dell’economia, della politica e del sociale, cioè una «produzione totale». Tra guerra, monopoli e Stato si crea un legame che non potrà più essere sciolto da nessun «liberalismo», nemmeno il neoliberalismo potrà far tornare il mercato della domanda e dell’offerta e della libera concorrenza.

LA NASCITA DI QUELLO CHE MARX chiamava il «general intellect» (la produzione non dipende solo dal lavoro diretto dei lavoratori ma dall’attività e dalla cooperazione della società nel suo insieme, dalla comunicazione, dalla scienza e dalla tecnologia ecc.) si realizza sotto il segno della guerra. Nel «general intellect» marxiano non c’è la guerra, mentre nella sua attuazione reale è lei che completa e integra il tutto. Il capitalismo riorganizzato dalla guerra totale è diverso da quello descritto da Marx. Hahlweg, studioso tedesco che ha pubblicato l’opera completa di Clausewitz, riassume perfettamente questo mutamento del capitalismo: in Lenin le guerre hanno preso il posto delle crisi economiche in Marx. Keynes a sua volta affermava che il suo programma economico poteva essere realizzato solo in un’economia di guerra, perché solo in questo caso tutte le forze produttive sono spinte all’estremo delle loro possibilità. Questa temibile «macchina», in cui guerra e produzione si confondono, provoca un salto nello sviluppo dell’organizzazione del lavoro, della scienza e della tecnica; il coordinamento e la sinergia delle varie forze produttive e delle funzioni sociali si traducono in un aumento della produzione e della produttività. Ma produzione e produttività sono per la distruzione. Per la prima volta nella storia del capitalismo la produzione è «sociale» e, al tempo stesso, completamente finalizzata alla distruzione. Lo sviluppo delle forze produttive è indirizzato a un aumento della capacità di distruggere. Una corsa folle si scatenerà nella ricerca/innovazione per aumentare il potere di distruzione: distruggere il nemico, il suo esercito ma anche la sua popolazione, le sue strutture e infrastrutture.

Questo processo ha il suo compimento nella costruzione della bomba atomica durante la Seconda guerra mondiale. La scienza, massima espressione della creatività e della produttività dell’essere sociale, espande radicalmente il potere di distruzione: la bomba atomica mette in gioco la sopravvivenza stessa dell’umanità. Günther Anders osserva a questo proposito: se fino alla Prima guerra mondiale gli uomini erano individualmente mortali e l’umanità immortale, dalla costruzione della bomba atomica l’identità di produzione e distruzione, perfettamente incarnata dalla scienza, minaccia di estinguere l’umanità. Per la prima volta nella sua storia, la specie umana è in pericolo di estinzione, grazie all’azione di una parte degli uomini (i capitalisti e gli uomini di Stato, le classi possidenti ecc.) che la compongono. Questo salto nell’organizzazione politico-economica della macchina bicefala Stato-capitale è una risposta al pericolo del socialismo che incombeva sull’Europa e un’azione di prevenzione rispetto alle guerre di classe, di razza e di sesso che il socialismo conteneva nel suo seno (malgrado le organizzazioni che lo strutturavano) e che si sarebbero sviluppate durante tutto il XX secolo (…). Nelle condizioni del capitalismo contemporaneo la situazione si è ulteriormente radicalizzata, qualsiasi lavoro (e non solo quello che produce «gas velenoso o la bomba all’idrogeno») è distruttivo; qualsiasi consumo (e non solo prendere l’aereo, sprecare l’acqua ecc.) è distruttivo (…).

Nel capitalismo gli individui sono «complici», loro malgrado, della distruzione, perché la producono lavorando e consumando, e vittime dello sfruttamento e del dominio, perché costretti a produrre e a consumare. Non ci sono altre alternative che rompere questi legami di subordinazione che ci fanno oggettivamente complici e sottrarsi da questi rapporti di lavoro e di consumo, vale a dire perseguire fino in fondo il rifiuto del lavoro coatto e del consumo obbligatorio (…). La prosperità per tutti si è rapidamente trasformata in una mostruosa concentrazione della ricchezza per pochi, in devastazione finanziaria e in lotta a morte per l’egemonia economica e l’accesso alle risorse. La salvaguardia della vita in cambio d’obbedienza che, a partire da Hobbes, lo Stato doveva garantire contro i pericoli della guerra di tutti contro tutti, è stata doppiamente smentita: dall’organizzazione dei massacri delle guerre industriali e dall’estinzione possibile della specie umana che è già sufficientemente avanzata. La biopolitica («fare vivere e lasciare morire») svela tutto il suo contenuto «ideologico» di fronte alla realtà della macchina bicefala Stato-capitale che ha prima scatenato la violenza del secondo per poi, in seguito, lasciare libero corso alla violenza del primo. (…)

LA SCOMPARSA POSSIBILE dell’umanità a causa della violenza concentrata della bomba atomica che, negli anni ’50, Anders annunciava, è oggi rilanciata dalla violenza «diffusa» del riscaldamento climatico, della degradazione della biosfera, dall’impoverimento dei suoli, dallo sfruttamento della terra ecc. Due temporalità differenti, l’istantaneo della bomba e la durata della devastazione ecologica, si sono sommate perché derivano dalla stessa fonte, l’identità di produzione/distruzione. E le due minacce convivono nell’attuale guerra in Ucraina.

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SCHEDA. A Bologna il festival DeriveApprodi da domani al 25

A Bologna, in via Sante Vincenzi 50, da domani al 25 di settembre, quattro giornate di festival della casa editrice DeriveApprodi con la collaborazione della libreria Input, e della rivista online «Machina» presso la Casa di Quartiere Scipione dal Ferro, messa a disposizione dall’Associazione Italiana Cultura Sport. Tra i temi in discussione attraverso presentazioni, reading, performance, proiezioni: lavoro, università, la vita agra dei cyborg, razzismi, arte e potere, rivoluzione e tanto altro. Tra gli e le ospiti: Maurizio Lazzarato, Sergio Bologna, Aldo Bonomi, Enzo Traverso, Caterina Varzi, Francesco Pezzulli, Federico Chicchi, Elia Alberici , Angelica De Palo, Giuliana Misserville, Valerio Romitelli, Anna Curcio, Miguel Mellino, Elvira Vannini, Kenny Alexander Laurence, Gianfranco Manfredi, Cristina Morini, Francesca Ioannilli, Rossana De Simone, Andrea Fumagalli , Christian Marazzi, Giuseppe Molinari, Matteo Meschiari, Manuela Gandini, Giulia Dettori. La scorsa domenica, inoltre, DeriveApprodi ha aperto a Roma una libreria che aspira a essere spazio di produzione, confronto e approfondimento di cultura e politica radicali.