L’allievo e il maestro, uno di fronte all’altro. Enrico Letta e Romano Prodi, con il maestro che si sforza maieuticamente di tirare fuori dalla bocca del giovane “qualcosa di sinistra”. Usa le buone, gli affida il ruolo di «federatore» del centrosinistra più M5S. Lo stesso ruolo che lui aveva avuto negli anni Novanta con ex diccì e ex Pci.

Se domenica lo aveva bacchettato nello studio Rai di Lucia Annunziata («Il programma del Pd è troppo ristretto, i diritti non bastano»), ieri alla presentazione delle sue memorie a Roma («Strana vita, la mia», editore solferino), Prodi ha usato la carota: «Enrico si è impegnato sui diritti perché era una discussione già in corso in Parlamento. Adesso siamo perfettamente d’accordo che la ripresa deve convivere con la solidarietà sociale e che serve un intervento sul mondo del lavoro che cambia in modo totale».

«Se non lo fa il Pd chi lo fa?», ha aggiunto Prodi. «Enrico è in grado di farlo, ha esperienza interna e internazionale». Un assist cui Letta ha risposto senza andare in rete: «La pandemia ha cambiato il modo di lavorare, oggi c’è Zoom e le business class degli aerei sono vuote. Il virus ha cambiato le coordinate spazio temporali del lavoro, sono pronto a modificare i punti cardinali della bussola».

Come? «La nostra riflessione è su come immettere cambiamenti radicali sul lavoro. Mi riferisco ai luoghi, alla retribuzione, alla responsabilità sociale, al legame delle imprese col territorio, e penso anche alle multinazionali che aprono sedi in Europa e pensano di pagare l’1% di tasse».

Prodi ha anche aperto alle agorà lanciate dal leader Pd: «Le interpreto come uno slancio federatore. Puoi farlo se rompi il gioco di 3-4 persone e cominci a raccogliere le opinioni delle persone. Il problema è che è un lavoro di una lunghezza e di una fatica…».

Una federazione anche col M5S? «E se no con lo fai questo lavoro?», risponde il Prof. Che paragona le agorà di Letta con i suoi comitati «per l’Italia che vogliamo» del 1995-96: «Allora non c’era un sito dove potevi iscriverti e votare, adesso si può…». E conclude: «Dobbiamo far ripartire l’ascensore sociale come quando ero giovane io».