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Processo alla Tav al Tribunale dei popoli

Processo alla Tav al Tribunale dei popoli

Diritti Grandi opere e territorio, lobby e democrazia. Il modello "coloniale" di decidere e costruire. I tre capi d’accusa di una sessione del Tribunale dedicata alla Torino-Lione

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 5 novembre 2015

La sessione del Tribunale permanente dei popoli dedicata a Tav, grandi opere e diritti fondamentali dei cittadini e delle comunità locali che inizia oggi a Torino è un evento importante, anche oltre il caso concreto. Il tema centrale è, ovviamente, la Nuova linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione: un’opera ciclopica devastante, di grande impatto ambientale, di conclamata inutilità trasportistica, insostenibile in termini di spesa pubblica, giustificata solo da una cultura sviluppista ormai anacronistica, da interessi economici lobbistici di breve periodo e dalla disperazione di un sistema politico ed economico incapace di dare alla crisi vie di uscita razionali.

Un’opera inoltre – sarà questo il punto principale dell’analisi del Tribunale dei popoli – decisa in modo autoritario, provocando un movimento di opposizione profondamente radicato e capace di manifestazioni con decine di migliaia di persone. Orbene questo movimento, in tutte le sue articolazioni (anche istituzionali), è stato sistematicamente escluso da ogni confronto reale e da ogni decisione. Esattamente come sta avvenendo in diverse località della Francia, del Regno Unito, della Spagna, della Germania, della Romania e dell’Italia (per limitarsi alle realtà che saranno esaminate dal Tribunale).

L’esclusione delle comunità locali da decisioni cruciali riguardanti il loro habitat, la loro salute, le stesse prospettive di vita attuali e delle generazioni future, è avvenuta e avviene in Val Susa in un modo esemplare di un sistema che si ripete con sostanziale identità per tutte le grandi opere inutili e imposte e che si articola in tre fasi fondamentali:

  1. la sistematica estromissione dei cittadini e delle istituzioni interessate dalle decisioni e dal controllo sulla effettiva utilità e sull’iter delle opere, realizzata escludendo, di fatto e/o mediante provvedimenti legislativi e amministrativi ad hoc (come la “legge obiettivo” o il decreto “sblocca Italia”), ogni procedura di informazione, consultazione e confronto e/o adottando procedure di consultazione puramente apparenti (come quelle adombrate con la costituzione, nel 2006, di un Osservatorio presto rivelatosi un organo propagandistico a favore del Tav o con il nuovo tavolo proposto ai sindaci della Valle, nei giorni scorsi, dal ministro delle infrastrutture Del Rio, finalizzato a discutere di tutto, ma non della utilità della nuova linea…);
  2. il condizionamento e lo sviamento delle valutazioni delle comunità interessate, dell’opinione pubblica e talora degli stessi decisori politici mediante la elaborazione e la diffusione di dati inveritieri sulla saturazione della linea ferroviaria storica e sulla conseguente necessità del nuovo collegamento (a fronte dei quali il metodo Volkswagen, recentemente emerso alla ribalta, sembra opera di maldestri dilettanti) e di previsioni prive di ogni seria base scientifica, amplificati in modo martellante da organi di stampa spesso controllati da soggetti interessati all’opera;
  3. la permanente e totale impermeabilità a richieste, appelli, sollecitazioni ed esposti di istituzioni territoriali, comitati di cittadini, tecnici e intellettuali e la parallela gestione della protesta e dell’opposizione come problemi di ordine pubblico demandati al controllo militare del territorio (finanche con truppe dell’esercito già utilizzate in missioni all’estero) e all’intervento massiccio degli apparati repressivi, addirittura con la contestazione di fattispecie di terrorismo e la reviviscenza di reati di opinione (come accaduto con riferimento a Erri De Luca).

Tutto ciò – lo si è già accennato e sarà al centro dell’esame del Tribunale – realizza un vero e proprio sistema di governo di pezzi di società che ha a che fare con i diritti fondamentali delle persone e delle comunità e di partecipazione. Di democrazia si potrebbe dire, se il termine non fosse sempre più spesso utilizzato a copertura di scelte che vanno in direzione esattamente opposta e di istituzioni e regimi che tutto sono meno che democratici. Perché la logica sottesa a questo sistema è – non sembri eccessivo il termine – una logica neocoloniale, fondata sulla pretesa di lobby economiche e finanziarie nazionali e sovranazionali e delle istituzioni con esse collegate di disporre senza limiti e senza controlli delle risorse del territorio estromettendo le popolazioni interessate (considerate portatrici di interessi particolaristici e non apprezzabili), trasferita nel cuore dell’Europa.

Parlo di logica ovviamente, essendo ben consapevole che essa si manifesta in Occidente con modalità e caratteristiche incomparabili in termini di uso della violenza e di sopraffazione. Ma il segnale è chiaro. Nelle società contemporanee, percorse da derive decisioniste e autoritarie accade che la verità si intraveda dai margini, dalle periferie, da vicende riguardanti parti limitate della società che anticipano, peraltro, fenomeni di carattere generale. Come hanno dimostrato – tra le altre – le ricerche, ormai classiche, di Enzo Traverso sul nazismo e la sua genesi, la mancata percezione e l’omessa analisi di molti segnali premonitori pur facilmente avvertibili hanno prodotto nel secolo scorso lutti e disastri indicibili.

La speranza è che il Tribunale permanente dei popoli, da sempre in anticipo sui tempi, sappia, anche in questo caso, assumere decisioni e chiavi di letture utili non solo per la Val Susa ma per le prospettive dell’intera Europa.

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