Nove anni e mezzo di carcere a testa. A tanto ammontano le richieste di pena formulate dai pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino nei confronti di Claudio Alberto, Nicolò Blasi, Chiara Zenobi, e Mattia Zanotti. I quattro militanti No Tav imputati, con l’accusa di terrorismo, per l’attacco al cantiere di Chiomonte il 14 maggio 2013. La notte in cui bruciò l’ormai tristemente famoso compressore. Non importa se fu l’unico ferito, perché, sostiene l’accusa, si pose «in pericolo l’incolumità di più persone» e quell’assalto fu «un’aggressione alla personalità dello Stato». Perché colpire Chiomonte significava, secondo i pm della Procura di Torino, colpire «una scelta strategica dello Stato». Fu attacco, anzi «atto di guerra» allo Stato, di cui sono stati messi in pericolo gli «interessi fondamentali». I poliziotti non sarebbero stati «aggrediti come singoli, ma come rappresentati dello Stato».

«Noi – ha esordito il pm Rinaudo, nell’aula bunker del carcere delle Valette, dove si tiene il processo – dobbiamo valutare le condotte, non le idee. Può piacere o no, ma l’opera è stata deliberata dallo Stato. Quella notte – ha ripetuto – sono state attaccate scelte e interessi fondamentali dello Stato». Rinaudo ha incalzato i giudici della Corte d’assise: «Dovrete valutare le condotte, non se l’opera sia legittima, utile o se abbia un significato. Questo non deve entrare nel processo». Ha fatto un esempio: «È come se vi trovaste di fronte a due vicini di casa, uno che costruisce un’opera sul suo terreno, regolarmente autorizzata, e il vicino che è contrario e che si avventa contro il vicino e contro l’opera. Ci staremmo a chiedere se la condotta è legittima perché era contrario all’opera?».

Claudio, Nicolò, Chiara e Mattia sono in carcere da quasi un anno. Dal 9 dicembre, quando furono arrestati all’alba dalla Digos di Torino e di Milano. E sono tuttora detenuti in regime di Alta sorveglianza. «Una distanza – scrissero in una lettera i familiari – che li separa ancora di più dagli affetti delle loro famiglie e dei loro cari, con ulteriori incomprensibili vessazioni come la sospensione dei colloqui, il divieto di incontro e in alcuni casi l’isolamento totale. Tutto questo perché sono considerati “pericolosi” grazie a un’interpretazione giudiziaria che non trova riscontro nei fatti».

Durante la requisitoria dell’accusa, è stato citato, ma in sostanza aggirato, il pronunciamento della Corte di Cassazione che, annullando con rinvio la decisione del Tribunale del Riesame di Torino, aveva in pratica bocciato l’accusa di terrorismo, in quanto non sussisteva «un grave danno per il Paese o per un’organizzazione internazionale» né «un’apprezzabile possibilità di rinuncia da parte dello Stato alla prosecuzione» dell’opera. I pm hanno insistito, invece, sull’attentato con finalità terroristiche. «Violenza armata e organizzata in modo paramilitare per acquisire consensi e per costringere lo Stato a retrocedere».

Il pm Padalino ha sostenuto come l’assalto sia stato «minuziosamente curato» e portato avanti con azioni «che per modalità ed esecuzione hanno assunto i contorni di un attentato che possiamo definire paramilitare». Ha ripercorso i fatti. «C’erano tre gruppi di assalto (trenta persone circa). Hanno attaccato travisati ed equipaggiati con un armamentario da guerriglia (bombe molotov), usando una tecnica di guerriglia. L’intenzione era di aggredire i luoghi “popolati” del cantiere». Perché tutto questo? Perché «animati da un irrefrenabile odio verso la Tav». I quattro svolgerebbero opera quotidiana di attacco «alle scelte democratiche adottate da una nazione, facendo della violenza e dell’aggressione alle persone e alle cose una pratica di vita».

Nelle prossime settimane è attesa la sentenza dei giudici. Per protestare contro «l’accusa di terrorismo e la repressione giudiziaria» i No Tav hanno lanciato da ieri una mobilitazione nei vari territori. Intanto, in Valle, il fronte dei sostenitori si trova con un’altra grana. Ferdinando Lazzaro, titolare dell’Italcoge, azienda che ha eseguito i lavori per la recinzione del cantiere di Chiomonte, è stato arrestato (ora ai domiciliari) per turbativa d’asta. Avrebbe falsificato documenti per poter continuare i lavori dopo il fallimento. Un anno fa andò in tv denunciando intimidazioni da parte dei No Tav.