La Grecia è diventata un laboratorio. Lo è dal punto di vista delle politiche di austerity, del governo diretto dalla famigerata troika, della liquidazione della democrazia formale. Lo è per i conflitti, in un contesto per molti mesi insurrezionale. Lo è anche per i problemi e i nodi irrisolti dei movimenti dentro la crisi: come trasformare l’insorgenza in un processo rivoluzionario? Questa è la domanda politica che attraversa il prezioso La forza di Piazza Syntagma. Voci di insurrezione da Atene (AgenziaX, pp. 120, euro 12) e anima la ricerca militante di Fulvio Massarelli, già autore di La collera della Casbah. Muovendosi tra una sponda e l’altra del Mediterraneo, l’autore mostra – tra linee di continuità e differenze – come oggi sia impossibile ragionare, ovvero organizzarsi, al di fuori di un quadro immediatamente transnazionale. Proprio lo spazio mediterraneo è un possibile anello centrale: non dove il capitale è più debole, ma dove le lotte possono divenire più forti.

Dopo il movimento universitario del 2006-2007, il ciclo di lotte nella crisi affonda le proprie radici nella rivolta scatenatasi l’anno dopo contro l’uccisione del quindicenne Alexis Grigoropoulos; negli anni successivi si estende e si diversifica, gli scioperi generali si susseguono a ritmo frenetico e mostrano la corda. Nel maggio 2011 piazza Syntagma si popola di acampadas, inizia la «politica del 99%», che il 12 febbraio dell’anno successivo insorge contro l’approvazione del secondo memorandum imposto dall’Unione europea. Il libro dettaglia un processo che si snoda tra accelerazioni e frenate, procede a bassa intensità e si illumina di vampate. Non salta affatto, però, di evento in evento, come se in mezzo ci fosse un vuoto lineare e privo di storia. Massarelli ce lo mostra concretamente: da un lato, c’è il collasso della società capitalistica, la crisi irreversibile dello Stato e delle sue articolazioni, l’impoverimento dei ceti medi e la disoccupazione di massa; dall’altro, una composizione sociale allargata che non vuole pagare i drammatici costi della crisi, si batte contro il governo dell’austerity, si autorganizza per fronteggiare i bisogni più impellenti e costruire reti di welfare e vita in comune. Tra un evento e l’altro vi è, dunque, sempre un pieno: di resistenza e sfruttamento, di sedimentazioni soggettive e povertà insopportabile, di tentativi di organizzazione e verticalizzazioni autoritarie.

Per scavare politicamente dentro questa tensione conflittuale non servono le mitologie, bisogna fare inchiesta. Così, Massarelli ha realizzato varie interviste a precari e studenti, a insegnanti e medici, a militanti e attivisti impegnati nei comitati territoriali, nei centri sociali e nelle assemblee di quartiere (se ne contano a centinaia nella sola Atene). Emergono analisi e narrazioni, si illustrano forme di lotta e percorsi di autorganizzazione, si parla di reti di solidarietà e sussistenza che nulla hanno a che fare con la carità: «l’impegno sociale che sta coinvolgendo decine di migliaia di persone non è più dare al prossimo, ma è stringersi l’uno all’altro per uscire dalla tragedia», spiega un’intervistata. Ci sono gli elettricisti che riattaccano la luce di chi non ha pagato le bollette. E poi l’autogestione dei luoghi della produzione, da quelli «tradizionali» (le fabbriche) alle istituzioni «antropogenetiche», in cui cioè al centro vi è la «produzione dell’uomo per l’uomo», dalle scuole agli ospedali. Sono embrioni di una nuova società che vivono e lottano, frammentari e imbrigliati dentro quella al collasso. Non sono affatto sufficienti, dopo anni di lotta i punti di blocco sono evidenti; ma certo indicano la potenza produttiva di quella particolare forma di vita che produce l’altrui ricchezza e la propria povertà: il lavoro vivo.

Nella prefazione Valerio Evangelisti ricorda la famosa definizione della situazione rivoluzionaria data da Lenin un secolo fa: gli «strati inferiori» (il 99%) non vogliono più vivere come in passato, gli «strati superiori» (l’1%) non possono più vivere come in passato. Tuttavia, cosa significano oggi insurrezione e rivoluzione, ovvero estensione del potere costituente e intensità dell’iniziativa destituente? Qui le risposte del passato ci servono a poco. E ancora meno serve rimpiangere l’infranta dialettica tra lotte e conquiste democratiche.

Quell’Ottobre non è ripetibile anche perché Kerenskij è, per fortuna, definitivamente morto. Oggi il problema, enorme, delle vittorie parziali si pone su un terreno differente rispetto al classico riformismo e alle forze politiche che l’hanno incarnato. Sono questi i nodi da sciogliere se non si vuole restare intrappolati nella ciclotimia dell’economia dell’evento, tra esaltazione delle rivolte (degli altri) e depressione per i loro esiti, dunque la necessità di argini frontisti. Entrambe queste posizioni sono parte del problema e non della soluzione. In tempi come questi, invece, per volare alto è necessario misurarsi con le inquietanti ambiguità che della crisi sono cifra paradigmatica. Solo così si possono comprendere il perché Alba Dorata catalizza in modo perverso e nichilistico, ancorché effimero, un pezzo del rifiuto della troika: però, invece di gridare al nazismo alle porte va compreso su quale terreno è possibile contrastarla. Da questo punto di vista un libro come quello di Massarelli aiuta a guardare a quello che c’è tra un’insorgenza e l’altra, perché è lì che le risposte ai nostri pesanti limiti possono essere cercate e, magari, praticate.