Due processi che si sono conclusi con sentenze “epocali” – per l’omicidio di George Floyd a Minneapolis nel maggio 2020 e per quello di Ahmaud Arbery a Brunswick in Georgia nel febbraio dello stesso anno – non hanno scritto la parola fine sull’onda lunga messa in moto dalle morti dei due uomini afroamericani, fra cui le proteste di Blm che hanno incendiato gli Usa nell’estate del 2020.

Dopo che i responsabili sono stati riconosciuti tali dalla giustizia statale (il poliziotto che ha ucciso Floyd, Derek Chauvin, è stato condannato a 22 anni e mezzo in prigione mentre i tre responsabili della morte di Arbery hanno avuto l’ergastolo), dei processi federali sono in corso in questi giorni per stabilire altre e importanti responsabilità in un Paese che deve fare i conti con il suo razzismo endemico e sistemico. Entrato nella sua seconda settimana, è il processo ai tre colleghi di Chauvin, presenti sul luogo del crimine mentre il poliziotto teneva il ginocchio sul collo di Floyd per oltre nove minuti: J. Alexander Kueng, Thomas K. Lane (anche lui afroamericano) e Thou Thao sono accusati di aver privato Floyd dei suoi diritti civili sottraendosi al loro dovere di intervenire a fronte dello «sproporzionato uso della forza» del loro collega sulla vittima, e di non aver soccorso e fornito assistenza medica a Floyd – che aveva perso conoscenza – fino all’arrivo di un’ambulanza. Mentre Thao teneva indietro la folla, solo Kane (dai video recuperati dalla bodycam) cerca flebilmente, per due volte, di suggerire a Chauvin di mettere Floyd su un fianco per agevolargli la respirazione – e viene redarguito dal superiore. Per l’accusa di aver privato l’uomo dei suoi diritti civili, Chauvin si è dichiarato colpevole lo scorso dicembre ed è in attesa di sentenza.

TRAVIS E GREGORY McMichael e il loro vicino William Bryan, condannati per l’omicidio di Arbery, affronteranno invece un processo federale – la giuria verrà selezionata il 7 febbraio – con l’accusa di aver commesso un crimine d’odio. Ieri i McMichael (padre e figlio) hanno ritirato la loro dichiarazione di colpevolezza nel caso dopo che pochi giorni fa la giudice Lisa Wood aveva rigettato l’accordo fatto dai due con l’accusa, in base al quale avrebbero ammesso che il crimine era «motivato dal razzismo» in cambio di scontare la pena una prigione federale – un accordo avversato dalla famiglia di Arbery, contraria al loro trasferimento fuori dal carcere statale. Al processo in Georgia terminato con la loro condanna, l’accusa aveva evitato di sottolineare le motivazioni razziste dell’omicidio per avere migliori chance di successo con una giuria di 11 bianchi e un afroamericano. Movente che oggi è invece al centro dell’attenzione.

Due processi che non sono corollari a una storia già conclusa dentro la dinamica del delitto e del castigo: il caso contro i tre colleghi di Chauvin chiama in causa le pratiche diffuse della polizia – non solo dei poliziotti assassini -, l’addestramento degli agenti a intervenire contro le decisioni di un loro stesso collega, in un’epoca in cui la riforma delle forze dell’ordine è al centro del dibattito Usa. Mentre quello contro gli assassini di Aurbery scriverebbe nero su bianco la storia e i moventi di un linciaggio moderno.