Dal 7 al 19 dicembre scorsi si è svolta a Montreal, in Canada, la 15a COP della Convenzione sulla diversità biologica (Cbd), in cui si è discusso il futuro contesto normativo globale in materia di biodiversità, volto a stabilire gli obiettivi e i traguardi per il prossimo decennio.
Alcuni dei temi chiave emersi durante la COP15 riguardano i problemi legati alle tecnologie basate sulle sequenze digitali (Dsi) e la governance delle nuove biotecnologie. Finora, la Cbd è stato l’unico organismo internazionale a occuparsi della governance di questi nuovi temi.
La Convenzione delle Nazioni Unite sulla Diversità Biologica (Cbd) venne istituita a Rio de Janeiro nel 1992. Lì vennero stabiliti gli obiettivi principali: «La conservazione della diversità biologica, l’uso sostenibile dei suoi componenti e la giusta ed equa condivisione dei benefici derivanti dalle risorse genetiche», compresa la protezione dell’agrobiodiversità. Questo mandato include ora anche la governa ce delle biotecnologie
La regolamentazione relativa all’accesso e alla condivisione dei benefici della biodiversità e derivanti dall’uso delle risorse genetiche venne istituita nel 2010 con il Protocollo di Nagoya al fine di proteggere il patrimonio di biodiversità degli Stati, le conoscenze tradizionali ad esso collegate, e per assicurarsi che le nazioni le cui risorse genetiche venissero utilizzate, ricevessero un adeguato compenso o condivisione dei benefici. Ora, con l’evoluzione degli strumenti di digitalizzazione come il Dsi e delle nuove biotecnologie, il protocollo di Nagoya è in pericolo. La sequenza digitale di informazioni (Dsi) è una biotecnologia in grado di scansionare efficacemente una serie di informazioni genetiche del genoma di un organismo, consentendo di caricarle su un database digitale. Dalla introduzione delle tecnologie di sequenziamento digitale nel 2010, miliardi di sequenze genetiche, dal Dna, all’Rna, agli aminoacidi, ai metaboliti e persino alle informazioni epigenetiche, sono state sequenziate e raccolte in vari database pubblici e privati.

A livello globale, la COP15 si è svolta in un momento cruciale in cui le aziende del settore biotech e dell’agroindustria stanno portando avanti una colossale operazione di greenwashing , al fine di di promuovere le nuove biotecnologie e una serie di meccanismi finanziari come «soluzioni ecologiche», oltre a portare avanti operazioni di lobbying per la deregolamentazione degli Ogm e per immettere rapidamente sul mercato tecnologie nuove non testate.

Da quando è decollata la biotecnologia genetica, la Dsi è diventata, da semplice sistema efficiente per preservare e conservare la diversità genetica, a una preziosa materia prima per le aziende biotech per appropriarsene. Con la tecnologia della biologia sintetica, le aziende private possono scaricare le informazioni genetiche digitalizzate e ricreare sinteticamente le sequenze in laboratorio, aggirando di fatto le normative esistentti sull’accesso alla biodiversità.

Le preoccupazioni relative all’abuso di queste tecnologie affondano le radici nella lunga storia di monopolizzazione, privatizzazione e biopirateria delle multinazionali che hanno generato profitti miliardari, grazie al precedente creato dagli accordi Trips/Gatt, che hanno aperto le porte alla brevettazione della vita; le aziende possono modificare il Dna, inserirlo in un organismo vivente e brevettarlo. Il rischio di queste tecnologie, se non regolamentate, è l’ulteriore privatizzazione della vita.