La manifestazione sindacale unitaria di Reggio Calabria – un’iniziativa politica di primissimo ordine, dopo mesi ed anni di assordanti ciarle – si segnala per almeno tre ragioni. La prima è che il Sud trova finalmente voce e capacità mobilitativa di massa. E in un luogo di drammatica simbolicità, come già hanno ricordato Tonino Perna e Marco Revelli su questo giornale.

La seconda è che un tema centrale dell’iniziativa, che ha visto unite le tre grandi confederazioni è stato l’opposizione all’autonomia differenziata. Un problema cruciale per il mantenimento non solo di un welfare unitario per tutta la popolazione italiana, ma per la conservazione degli assetti istituzionali su cui si regge l’unità d’Italia. Una questione ingannevolmente prospettata come misura di allargamento della democrazia territoriale e invece grimaldello secessionista per assegnare più risorse alle regioni più ricche, staccandole dal resto del Mezzogiorno e delle altre regioni. Una questione sottovalutata e ignorata dai media, dalle grandi firme del giornalismo, da gran parte degli intellettuali, segno di un’incapacità drammatica delle nostre classi dirigenti di prevedere quel che può accadere tra
un mese.

Ora finalmente il tema, il pericolo, la sciagurata minaccia che incombe sul paese, agitata finora da un pugno isolato di studiosi, diventa un argomento politico di massa, assunto in proprio dalla più grande istituzione popolare d’Italia.

La cosiddetta autonomia differenziata, vale a dire la disarticolazione di fatto dell’Italia, ridotta ad un puzzle di statarelli regionali, renderebbe l’Italia non solo territorialmente più disuguale ed ingiusta ma ingovernabile, drammaticamente indebolita in Europa, priva di coerenza e forza contrattuale con l’Unione. La terza ragione è che in questa fase storica, come ha osservato Revelli, il sindacato viene a svolgere una rilevante azione di supplenza politica. Una fase in cui i 5 stelle al governo, che dal Sud hanno ricevuto un vastissimo consenso di massa, stanno tradendo il loro impegno condannandosi al suicidio finale. Il discorso a Reggio di Maurizio Landini ha indicato in sintesi la piattaforma strategica di governo dell’economia italiana dell’unico statista oggi attivo sulla scena politica nazionale. Non c’è protagonista comparabile per visione realismo e capacità mobilitativa.

La sinistra dispersa non dovrebbe solo trovare coraggio da tale iniziativa, ma la lezione dell’unità che si raggiunge con un’opera lenta e tenace, di cuciture e anche di compromessi, di sforzo di organizzazione degli emarginati, senza correre dietro le sirene elettorali che promettono, talora illusoriamente, qualche poltrona parlamentare e lasciano alla fine una scia di delusioni, rampogne e abbandoni.