Tutto iniziò quel giorno durante la manifestazione dei tre sindacati, Cgil, Cisl e Uil, corsi al capezzale dell’Ilva a cui la magistratura voleva contestare il mancato rispetto della legge». La storia dell’Uno Maggio Taranto, che quest’anno compie dieci anni, è iniziata così. Con la nascita del Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, che quel 2 agosto 2012, appena costituitosi, giunse con un tre ruote in Piazza della Vittoria, nel capoluogo ionico. Operai e cittadini avevano deciso di comune accordo di andare oltre il dualismo ambiente e lavoro e di unirsi in modo «spontaneo e apartitico». Qualche giorno prima, il gip Patrizia Todisco aveva disposto il sequestro senza facoltà d’uso dei sei impianti dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico. Arrivarono anche i primi arresti, a carico dei proprietari e dei dirigenti del gruppo Riva. Allora la Procura mise nero su bianco un’agghiacciante verità: «L’imponente dispersione di sostanze nocive nell’ambiente urbanizzato e non – scriveva il gip – ha cagionato e continua a cagionare non solo un grave pericolo per la salute (pubblica)», ma «addirittura un gravissimo danno per le stesse, danno che si è concretizzato in eventi di malattia e di morte».

IL COMITATO CITTADINI E LAVORATORI e Lavoratori Liberi e Pensanti fece della tutela della salute e dell’ambiente, coniugata alla piena occupazione, il proprio obiettivo e ricevette adesioni e attestazioni di stima. Il primo maggio dell’anno dopo, era il 2013, prese vita l’idea di organizzare una manifestazione dove operai e cittadini cooperavano per la riuscita. Quello che venne definito un contro-concertone, in riferimento all’iniziativa romana, si presentò al pubblico nazionale con questa prerogativa: «Primo maggio di lotta – Sì ai diritti, no ai ricatti: politica dal basso e musica». Si voleva dare un segnale forte. Alcuni artisti di fama sposarono la causa. Su quel palco, quell’anno, oltre ai direttori artistici Michele Riondino e Roy Paci, salirono tra gli altri Fiorella Mannoia, Luca Barbarossa, Raf, Elio Germano e Diodato (che poi assunse un ruolo nella co-direzione). L’Uno Maggio Taranto non è mai stato un concerto, ma il megafono di una voce collettiva: «Siamo uomini e donne stanchi di dover scegliere tra lavoro e salute. Imputiamo all’intera classe politica – scriveva il Comitato – di essere stata complice del disastro ambientale e sociale che da cinquant’anni costringe la città di Taranto a dover svendere i diritti in cambio del salario. Pretendiamo di essere al centro di ogni decisione politica sul futuro della nostra città». Nasceva un simbolo, che via via si è fatto portavoce delle tante battaglie dei movimenti della società civile. Il mondo dello spettacolo ha subito un ribaltamento: l’arte è stata posta al servizio dei cittadini. La fama degli artisti, tutti accorsi gratuitamente, ha acceso i riflettori su una realtà divenuta insostenibile. Quello che ha contraddistinto e contraddistingue l’Uno Maggio Taranto è la perseveranza dell’esserci. Un esempio di generosità e fiducia costruite negli anni, nonostante la storia politica abbia continuato a percorrere altre strade, lontane dal benessere collettivo. Il futuro a Taranto si prova a riscriverlo, le idee sono state messe nero su bianco. Il Comitato, insieme ad altre associazioni, ha dato vita al Piano Taranto. Sono stati individuati fondi pubblici per uscire dalla monocultura dell’acciaio. Il capoluogo ionico è stato immaginato come la città pilota dell’industria 4.0. Le parole d’ordine sono diventate riqualificazione, bonifica e reimpiego degli operai nelle attività di risanamento. La politica invece ha continuato a compiere altre scelte. Meno di due mesi fa l’ennesimo decreto salva Ilva. Ancora una volta il diritto alla vita è stato sacrificato per un presunto diritto al lavoro. Presunto, sì, perché i numeri oramai raccontano di una crescita esponenziale di cassintegrati. I fasti delle 12 milioni di tonnellate di acciaio all’anno sono lontani. Lo Stato continua a prestare denaro, l’ultima tranche da 680 milioni di euro, e Taranto si conferma «zona di sacrificio», come l’ha definita l’Onu, con un danno economico per le morti premature di 85 milioni di euro l’anno.

IL MIRACOLO DELL’UNO MAGGIO TARANTO è di non aver mai ceduto in questi anni allo sconforto, di aver dato continuità a un presidio di giustizia e verità alla cui base ci sono i diritti costituzionalmente garantiti. Taranto si è data una possibilità «di liberarsi da un destinato segnato». L’Uno Maggio ha il merito di non durare solo un giorno. È un’epifania di intenti che vengono silenziosamente coltivati tutto l’anno, nelle scuole, nei cortei, nelle assemblee. È un laboratorio di idee che si conferma vincente. Lo è stato nel 2014, quando hanno aderito per citarne alcuni Vinicio Capossela, Caparezza e Paola Turci. Nel 2015 con Brunori Sas, Mannarino, Francesco Baccini. Lo sarà anche quest’anno con 12 ore di manifestazione e tantissimi artisti e ospiti della società civile. Il palco del Parco archeologico delle Mura greche non è un’alternativa agli altri eventi. È una magia a cui nessuna iniziativa può essere equiparata. È una rete salda di autonomia di pensiero e cittadinanza attiva che non cede alla prepotenza di ordini impartiti dall’alto. Quest’anno per i suoi dieci anni, l’Uno Maggio Taranto celebrerà la libertà. Quella che, nonostante tutto, qui ancora pulsa luminosa e forte.