«In un posto del genere ci sono già stato tanti anni fa. Perché dovrei tornarci?», ha detto un cittadino di origine nordafricana quando assieme alla sua famiglia ha scoperto che la sistemazione alternativa che il comune di Roma gli proponeva dopo lo sgombero dell’ex scuola di via Cardinale Capranica, a Primavalle, era un centro di accoglienza.

SONO PAROLE che racchiudono l’assurdità delle meccanismo in cui sono finiti i migranti che fino a due giorni fa conducevano una vita regolare e che poi, in uno spietato gioco dell’oca esistenziale, sono ripiombati all’inizio del loro tragitto migratorio, quando erano appena arrivati in Italia. Non è molto diversa la situazione degli italiani, affidati alle strutture di bassa soglia del comune.

L’occupazione di Primavalle durava dal 2003. Da allora le persone che si erano organizzate per far valere il loro diritto alla casa avevano trovato una stabilità sgretolatasi improvvisamente. Ieri una delegazione di quattro degli abitanti sgomberati, accompagnati da Paolo Di Vetta dei Blocchi precari metropolitani ed Elisa Sermarini della Rete dei Numeri Pari, ha incontrato l’assessora alle politiche sociali Laura Baldassarre. Quest’ultima, quando lo sgombero era ancora in corso, aveva promesso che il comune avrebbe trovato soluzioni per le persone sfrattate e che i nuclei familiari non sarebbero stati costretti a dividersi. Qualche ora dopo il comune dava i suoi numeri, sosteneva che su circa 200 occupanti sgomberati in 149 avevano accettato di trasferirsi nei posti indicati dalla Sala operativa sociale del Campidoglio.

I DATI CHE VENGONO dai movimenti per il diritto all’abitare sono molto diversi. Gli occupanti erano più di trecento, al massimo una trentina avrebbe accettato le offerte del comune. «Quando hanno visto posti con camerate senza porte, con cucine e bagni condivisi, in molti se ne sono andati», raccontano. Durante lo sgombero erano stati fatti salire dalla polizia su un autobus. Non sapevano dove sarebbero sbarcati, non erano in grado di dirglielo neanche i funzionari di polizia.

DOVE SONO FINITI? Alcuni sono stati visti dormire per strada, nei dintorni di via Cardinale Capranica. Altri sono arrivati dall’altra parte di Roma, da nord-ovest a sud-est della capitale: a Centocelle in via della Primavera. Ma dopo la prima notte sono andati via. La maggior parte è stata accolta dal circuito autogestito della lotta per la casa. Molte persone hanno trovato un letto in due occupazioni che si trovano nello stesso quadrante di Roma, a Battistini e Villa Fiorita. Anche questi posti sono sotto sgombero, ma almeno la solidarietà dal basso ha rispettato il criterio di territorialità e quello di continuità della scuola: molti bambini sono iscritti all’anno successivo in scuole dello stesso municipio e non intendono perdere questa opportunità.

«È stata spazzata via un’intera comunità, che aveva fatto dell’occupazione di Primavalle un modello – riflette Elisa Sermarini – In un paese e in una città in cui la povertà è alle stelle, si tagliano le spese sociali e le mafie fanno affari non possono pensare di prendersela con chi è più povero».

LA PREFETTA Gerarda Pantalone, che prima di arrivare a Roma dirigeva l’ufficio immigrazione del Viminale, rivendica la linea dura sugli sgomberi di concerto con Matteo Salvini. Il rischio è che gli enti locali, Regione Lazio e comune di Roma in primis, si trovino con il cerino in mano delle emergenze sociali create ad arte. La situazione è paradossale, visto che sono stati gli stessi movimenti di lotta per la casa a formulare nelle settimane scorse proposte alternative al Campidoglio di spazi da usare per tamponare la situazione di emergenza abitativa. Il fatto che all’indomani di uno sgombero che, si teme, potrebbe essere il primo di una stagione l’amministrazione di Virginia Raggi schieri il dipartimento alle politiche sociali, e non scomodi la pianificazione urbanistica o gli uffici che si occupano di questioni abitative, fa temere che manchi una strategia alternativa a quella della pura repressione salviniana.

A PROPOSITO: ieri mattina i tre arrestati durante lo sgombero sono stati processati per direttissima e condannati a un anno per resistenza a pubblico ufficiale, con la sospensione condizionale.