Il sindacato sta facendo di tutto per l’approvazione del disegno di legge 2217 contro il caporalato: adesso è il momento che uno scatto lo faccia la politica, in particolare il Senato. Ieri Flai Cgil, Fai Cisl e Uila sono scese in piazza per la seconda volta in poche settimane, a Roma, davanti al Pantheon: il 25 giugno avevano portato 15 mila persone, tra cui tanti braccianti immigrati, in corteo a Bari.

Il ddl 2217 contiene norme per rendere più facile – e soprattutto più legale – la vita dei lavoratori nei campi e nelle comunità che li ospitano, e nello stesso tempo estende la responsabilità e le sanzioni dai caporali agli imprenditori che si servono della loro intermediazione: è fermo al Senato da mesi (ieri era in Commissione Bilancio), deve ancora passare la prova dell’Aula, e poi andare alla Camera. I sindacati chiedono che concluda il suo iter entro la pausa estiva (il 5 agosto), e ieri la vicepresidente di Palazzo Madama, Valeria Fedeli, dopo aver ricevuto una delegazione, ha promesso che farà di tutto per accelerare i lavori. Si è anche auto-twittata con un cartello rosso preso in prestito dalla piazza: «Subito il ddl 2217 per un lavoro libero dallo sfruttamento», recita lo slogan. Lei e i colleghi prenderanno la questione a cuore?

Se lo augura la segretaria generale della Cgil Susanna Camusso, al presidio con le categorie dell’agroindustria: «Il disegno di legge sulla lotta al caporalato deve avere un percorso privilegiato – ha detto, sollecitando la politica – Serve una calendarizzazione affinché diventi rapidamente norma dello Stato».

Secondo Camusso il ddl «completa l’opera iniziata con la definizione del reato di caporalato, includendo, oltre a chi lo organizza, anche chi lo utilizza». Il segretario generale della Uil Carmelo Barbagallo, presente anche lui alla manifestazione, ha aggiunto che «quella contro il caporalato è una battaglia di civiltà».

«È finita la raccolta delle ciliegie, quella dei pomodori sta iniziando, ma ancora non abbiamo uno strumento legislativo adeguato a contrastare lo sfruttamento nei campi», dice Giovanni Mininni, segretario nazionale della Flai Cgil. Il segretario Flai auspica che altri sindaci seguano l’esempio del primo cittadino di Nardò (Lecce), che «è arrivato a vietare con un’ordinanza il lavoro tra le ore 12 e le 16, perché nei campi si raggiungono i 50 gradi».

Il disegno di legge era stato approntato l’anno scorso, dopo la serie di morti (almento quattro) nelle campagne pugliesi. Fece scalpore il caso di Paola Clemente, bracciante di 49 anni, che lavorava all’acinellatura dell’uva nelle vigne di Andria: era pagata solo due euro l’ora.

«Abbiamo chiesto e avuto assicurazioni sul fatto che il ddl sarà, nell’arco di pochi giorni, portato in aula e rapidamente approvato», dice Stefano Mantegazza, segretario Uila. dopo l’incontro con Valeria Fedeli.

Per Annamaria Furlan, segretaria generale Cisl, «è necessario ridare centralità alla battaglia contro lo sfruttamento del lavoro rurale, aggiornare ed estendere le responsabilità penali, mettere in campo strategie partecipate che valorizzino l’apporto delle parti sociali».

Si calcola che circa 430 mila lavoratori in tutta Italia vivano in condizione di sfruttamento, tra l’irregolare e il nero, e ricadano nella rete dei caporali. Il sommerso nel settore, spesso organizzato dalle agromafie, drena dai 14 ai 17 miliardi di euro l’anno: i pomodori, le arance, i carciofi che troviamo nei supermercati o al dettaglio spesso non seguono filiere trasparenti.

Tra gli obiettivi del ddl c’è infatti anche il rafforzamento della Rete del lavoro agricolo di qualità: dovrebbe raccogliere, certificare e “bollinare” le aziende virtuose, ma fino a oggi non è mai decollata.

L’agricoltura è “funestata” anche dalla recente riforma dei voucher: il decreto correttivo al Jobs Act di qualche settimana fa ha infatti previsto che i lavoratori del settore (il ticket è previsto solo per studenti e pensionati) non abbiano più il limite dei 2 mila euro di reddito per committente. Potranno fare quindi fino a 7 mila euro annui con una sola azienda: perché non contrattualizzarli, allora, si chiedono i sindacati, facendo perdere tutte le tutele, i contributi e la disoccupazione? Inoltre, il preavviso obbligatorio prima della prestazione di lavoro, fissato a 60 minuti per tutti gli altri settori, nel bracciantato è stato esteso fino a una settimana, aprendo spazi ad abusi. Flai, Fai e Uila chiedono di ristabilire paletti più rigidi.