Il testamento spirituale di Don Andrea Gallo prende forma nel lungo e paziente lavoro di Cosimo Damiano Damato, Prima che il Gallo canti. Il film, nato dal dialogo tra il regista e il padre della Comunità di San Benedetto al Porto, è un viaggio attraverso le canzoni dei cantautori italiani che hanno saputo raccontare attraverso la poetica dei loro testi la solidarietà, gli ultimi e gli umili, ma soprattutto la paura della solitudine: “Quando l’uomo raggiunge la sua consapevolezza, anche nel caso di un artista o un cantante, si sente solo – racconta don Gallo – Allora è questa la paura: la solitudine”. Il film è prodotto dalla LOFT Produzioni e Clandestino in collaborazione con B-Side Communication e Comunità di San Benedetto al Porto.

Come nasce il progetto del documentario su Don Gallo e com’è avvenuto il vostro incontro?

Sul comodino avevo da anni Le preghiere di un utopista di Don Andrea, la sua più che catechesi era vera poetica. Avevo messo le sue preghiere accanto alle opere dei poeti che da sempre mi tengono compagnia la notte: Alda Merini, Antonia Pozzi, Izet Sarajlić e Cervantes con il suo Don Chisciotte. Ho conosciuto Don Gallo nel 2012 e fin da subito ci fu una corrispondenza d’amorosi sensi: pensavamo allo stesso modo su tutto, dalla musica alla politica. Proposi di scrivere insieme uno spettacolo teatrale e iniziammo a lavorare al canovaccio nella sua canonica a Genova. L’idea era di realizzare uno spettacolo che parlasse di Dio attraverso un viaggio nella musica d’autore italiana: sono tanti gli artisti che hanno scritto canzoni ispirate a temi sacri in cui riversano dubbi esistenziali, preghiere laiche presentando un Dio più vicino all’uomo. Don Andrea Gallo avrebbe raccontato, a modo suo, le canzoni dei cantautori che affrontano temi a lui cari come il bisogno d’amore, la strada, la solidarietà, la solitudine. Dovevamo debuttate a settembre – la tournée era già pronta – ma Don Andrea, a maggio, parti per il luogo che io chiamo il bar dei poeti, una sorta di Roxy Bar alla Vasco dove s’incontrano, nel secondo tempo della vita, tutte le grandi anime… lo immagino seduto a fumare il suo toscano insieme a De Andrè e ai ragazzi perduti della sua Comunità. Il film è nato subito dopo. Realizzando questo documentario che parte dal lungo dialogo drammaturgico per lo spettacolo teatrale, ho voluto lo stesso portarlo in scena; ed ora è un commovente testamento spirituale. Devo dire che nessun produttore all’inizio ha creduto nel progetto del film, ritrovandomi a produrlo da solo, ma dopo cinque anni di lavorazione e sacrifici ho finalmente trovato il supporto di Cinzia Monteverdi.

Il vostro viaggio si arricchisce della testimonianza e partecipazioni di molti autori del teatro, della musica e della letteratura italiana.

Ho trovato un grande affetto negli amici che hanno partecipato al film come: Dario Fo, Vasco Rossi, Francesco Guccini, Stefano Benni, Roberto Vecchioni, Caparezza, Piero Pelù, Erri De Luca, Claudio Bisio, Raf, Gaetano Curreri, Fiorella Mannoia, Patty Pravo, Federico Zampaglione, Vauro Senesi, Dario Vergassola, Paolo Rossi, Maurizio Landini, Moni Ovadia, Don Luigi Ciotti e Sergio Cammariere che ha firmato la colonna sonora. Per entrare nella poetica che muove Don Andrea basta ascoltare l’incipit del film: “Quando l’uomo raggiunge la sua consapevolezza, anche nel caso di un artista o un cantante, si sente solo. Allora è questa la paura: la solitudine. Si accorge però che da qualche parte la luce arriva”. Fondamentale per il linguaggio del film è stato frequentare la Comunità di San Benedetto al Porto dove ho incontrato ragazzi straordinari che sembravano usciti dalle canzoni di Faber e questo film è dedicato proprio a loro, infatti, nei prossimi mesi sosterremo un progetto della comunità.

Nella tua filmografia sono presenti molti documentari su grandi donne e uomini, pensatori e artisti del 900, come hai lavorato con le varie forme del documentario e soprattutto con personalità così differenti?

Ho avuto la possibilità di nutrirmi sempre da grandi anime come Alda Merini, Lucio Dalla, Tonino Guerra, Abbas Kiarostami, Dario Fo, Arnoldo Foà, Luis Bacalov. Insomma ho avuto grandi incontri che mi hanno insegnato la bellezza, l’arte, l’umiltà, la poesia e questo dono continua ancora. Negli ultimi anni, fondamentali sono state le frequentazioni con Erri De Luca da cui è nata una vitale amicizia. Poi ci sono i punti fermi come Renzo Arbore, il mio “consigliere”: quando ho in mente un progetto, è la prima persona che chiamo per aver un parere, un suggerimento. Renzo ha partecipato a mie diverse malefatte artistiche è stata la voce di un dromedario nel cartoon La luna nel deserto, nello spettacolo Il bene mio con Lucio Dalla ed altri amici, ha firmato le musiche di Missoni Swing e di recente abbiamo condiviso anche un talk show dal vivo per celebrare i suoi primi 50 anni di spettacolo.

Qual è il punto d’incontra tra questi artisti e la tua ricerca espressiva?

Uno dei miei primi maestri, Raffaele Nigro, mi ha insegnato che raccontare storie deve essere l’esigenza primaria; non importa il linguaggio si può usare il teatro, l’animazione, la fiction, il documentario, la letteratura. Quello che conta è raccontare una storia potente capace di far entrare il vento anche dalle finestre chiuse.

Come coniughi la tua ricerca intima nella poesia con le immagini e le storie che racconti?

L’ha capito bene la Cineteca nazionale che l’anno scorso mi ha dedicato la retrospettiva Cosimo Damiano Damato: Visioni, fantasie, sogni, rivoluzioni, poesie e follie. Per anni ho nascosto le mie poesie cercando un’identità come regista; già lavorare a teatro e al cinema, contemporaneamente, crea confusione nel pubblico e forse nell’autore stesso. Alda Merini mi spingeva a pubblicare, ma avevo resistito; poi è arrivato Giuseppe D’Ambrosio grande poeta e editore che mi ha convinto, nel 2016, a pubblicare un canzoniere La stanza sul porto. Dopo con Francesco Aliberti ho ripetuto l’esperienza con La quinta stagione, una sorta di antologia. Un libro che mi commuove anche per il dono di Erri De Luca che ha scritto “ La quinta stagione per Cosimo Damiano Damato è incendio delle altre quattro. È l’amore di un barbaro che prova lo sgomento di farsi gentile. L’amore al suo sprigionamento procura il ripudio di se stessi, l’identità acquisita nel monolocale. Anche un castello è tale, se abitato da solo. L’amore qui sbaraglia, spoglia e non assomiglia a niente prima. I versi sono salmoni che cercano di risalire una rapida, in obbedienza a un ordine di arrembaggio. Il vocabolario qui è trattato da energia rinnovabile”. A Erri devo molto, ha riacceso in me quel fuoco rivoluzionario che avevo perduto… e anche questa è poesia.

Dai sempre un ruolo fondamentale alla musica, sia a teatro che al cinema.

Se penso al concept Il bene mio su Matteo Salvatore con Lucio Dalla o a Tu non c’eri con Piero Pelù e a Poetry Soundtrack con Luis Bacalov, la musica ha un ruolo determinante. In Prima che il Gallo canti è la musica, da Bella Ciao a De Andrè, a essere la cifra poetica.

Rimorsi?

Si, per le tante cose che non son riuscito a portare a termine come la legge Bacchelli per il maestro Antonio Infantino, scomparso qualche giorno fa. Con Vinicio Capossela, Timisoara Pinto e altri amici stavamo realizzando un concertone per Infantino, per portare alla Camera l’istanza per l’ottenimento della legge Bacchelli. Questo paese mi spaventa ogni volta che non ha memoria e dimentica i poeti. La poesia è l’unica salvezza. Sarebbe straordinario avere un poeta al governo, un Pasolini ad esempio.

Lavori futuri?

Sto lavorando alla preproduzione del lungometraggio Il cielo in una stalla scritto con Erri De Luca fra Napoli e Roma in piazza del Gesù, seduti alla Libreria Dante & Descartes e nel giardino della sua casa sulla braccianese. Pubblicherò un cofanetto dedicato ad Alda Merini per i dieci anni dalla scomparsa e fra qualche giorno girerò uno short su Fernando Di Leo, dove racconterò il Fernando poeta. Nel 1960 ha scritto Le intenzioni una vera perla della poesia del 900.