Nella recente Relazione annuale del Presidente Inps c’è un paragrafo dedicato a “la creazione di una forma complementare pubblica, gestita dall’Inps, volontaria e alternativa alle forme complementari private”. Questa possibilità è stata già illustrata in passato nel Rapporto sullo stato sociale presentato in Sapienza ed è stata ripresa anche nell’edizione di quest’anno. Si tratta di una questione rilevante in sé e per le sue implicazioni, cosicché è interessante che sia richiamata nella Relazione del Presidente Tridico.

Va premesso che il problema principale del nostro sistema previdenziale complessivo sta nel rendere possibile al suo pilastro obbligatorio – che da tempo non ha più problemi di sostenibilità finanziaria – di assicurare una copertura sufficiente. Invece, se alle generazioni che attualmente stanno incontrando difficoltà ad avere un reddito da lavoro adeguato e continuativo non verranno riconosciuti contributi figurativi per i periodi di disoccupazione, la maggioranza di loro non maturerà una pensione sufficiente ad evitare la povertà. Se non si interviene in tal senso verrà a determinarsi un disastro sociale. Purtroppo, nell’assetto attuale, coloro che più avrebbero bisogno di integrare le prestazioni insufficienti che matureranno nella previdenza obbligatoria non hanno nemmeno la possibilità di iscriversi a quella complementare la quale rimane uno strumento utile per chi può permettersela, e può usufruire anche degli incentivi fiscali pubblici e dei contributi dei datori di lavoro.

Dunque, in aggiunta al riassetto del sistema obbligatorio, sarebbe utile ampliare e rendere più funzionali anche gli altri canali previdenziali. Attualmente, essi sono incomprensibilmente limitati alla previdenza complementare privata a capitalizzazione le cui prestazioni, peraltro, sono legate agli andamenti altalenanti dei mercati finanziari e vengono penalizzate da costi di gestione che, specialmente nel caso dei piani pensionistici individuali, sono molto elevati.

E’ paradossale che i lavoratori iscritti al sistema obbligatorio non abbiano la facoltà – che sarebbe praticabile anche per periodi circoscritti, in base alle disponibilità – di aumentare la contribuzione all’Inps e, corrispondentemente, di incrementare la pensione nell’ambito del sistema a ripartizione; le cui prestazioni sono molto più stabili e gravate da costi di gestione relativamente irrisori. Peraltro, il metodo contributivo si presterebbe benissimo a questo ulteriore compito dell’Inps che non avrebbe nessun costo gestionale ulteriore.

Naturalmente, per omogeneità di trattamento rispetto all’adesione ai fondi privati, anche il finanziamento aggiuntivo al sistema pubblico dovrebbe poter utilizzare il TFR e i contributi delle imprese e non dovrebbero essere toccato da riforme del sistema pensionistico obbligatorio.

Oltre ad aumentare il risparmio previdenziale, l’uso di questa nuova opzione previdenziale, aumentando le entrate contributive, avrebbe l’effetto immediato, particolarmente utile in questa fase, di migliorare il bilancio pubblico.

In aggiunta a questi risultati già molto apprezzabili e sufficienti a giustificarne l’introduzione, la diffusione della nuova opzione di previdenza complementare pubblica, potrebbe favorire altri obiettivi di particolare rilievo.

Attualmente, i gestori dei fondi pensione privati, dato il minore spessore dei nostri mercati finanziari, investono prevalentemente su quelli stranieri. Dei 167 miliardi di euro di risparmio raccolto, circa 115 vengono allocati all’estero e solo una quota irrisoria, intorno all’1%, viene impiegata per l’acquisto di azioni di imprese italiane. Paradossalmente, è solo all’estero che questo nostro risparmio riesce a ricongiungersi con la nostra forza lavoro più giovane e istruita, che pure viene formata con le scarse risorse a disposizione del nostro sistema d’istruzione, ma che non riusciamo ad occupare nel nostro paese: tra il 2013 e il 2017, nella fascia dì età sopra i 24 anni c’è stata una emigrazione netta di 244.000 unità di cui il 64% con titolo di studio medio-alto e, tra questi, con i laureati in aumento.

Fermo rimanendo gli obiettivi di sicurezza e di rendimento del risparmio previdenziale e la necessità di evitare ogni conflitto d’interesse nella sua allocazione da parte dei fondi privati, sarebbe opportuno incentivarne l’impiego in progetti di ammodernamento dell’economia reale del nostro Paese che potrebbero essere gestiti nell’ambito di un piano di sviluppo definito con il contributo delle imprese, dei lavoratori e dello Stato. Purtroppo, nonostante la questione sia rilevante e anch’essa segnalata da tempo nel Rapporto sullo stato sociale, finora né i responsabili della politica economica né quelli dei fondi pensioni vi hanno prestato concreta attenzione. In questo vuoto d’iniziativa, mentre aumentano le spinte verso impieghi rischiosi del risparmio previdenziale, il nuovo canale di previdenza complementare pubblica potrebbe favorire il suo impiego diretto e dedicato a progetti per lo sviluppo del Paese.