Era il 1960 quando le prime pietre dell’Italsider furono poste, vicino alla stazione dei treni, il polo petrolchimico dell’Eni non era ancora stato pensato (1964), l’Italia era uscita da poco dalla seconda guerra mondiale e il decennio d’oro del boom economico stava per iniziare. Per costruire quella che diventò l’Ilva furono soppiantate intere masserie storiche, un mondo agricolo stava per essere cancellato ma nessuno se ne poteva rendere conto. Porta Napoli era lì vicino, un mondo ancorato ad un tempo remoto, ed agganciato a l’entroterra tarantino, popolato di artigiani, di pescatori, di facchini dei depositi della vicina stazione ferroviaria e ricco di maestri d’ascia.

«Senza entrare in giudizi di merito, nel ’60 è arrivato lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa e ha monopolizzato maestranze e forza lavoro, quindi la generazione di maestri d’ascia che doveva formarsi negli anni ’60 e ’70 non lo ha fatto perché aveva un’alternativa immediata, violenta, prepotente e totalizzante che era quella dell’Italsider. La fabbrica assorbì tutte le risorse ed ha omologato l’offerta formativa da un punto di vista lavorativo. Si è mantenuta un minimo di diversificazione grazie all’arsenale della marina militare che ha continuato ad essere un polo a metà tra l’industria e l’artigianato e che ha permesso di mantenere alcune maestranze nell’ambito della nautica. Però l’Ilva, per quanto riguarda questo specifico settore, ha praticamente privato alcune maestranze della generazione di mezzo», a parlare è Francesco Sisto, fondatore di Officine Maremosso, un’associazione che punta al recupero dei giovani disagiati proprio attraverso l’insegnamento di alcune conoscenze antiche come quelle dei maestri d’ascia.
Oggigiorno questa figura non è più la persona che fisicamente costruisce solamente l’imbarcazione in legno, ma è quel soggetto che dirige un cantiere nautico in quanto conosce la navigazione, i venti, deve avere conoscenze dei metalli, del taglio delle tavole, delle colle e dei collanti da usare nelle imbarcazioni. Senza la figura del maestro d’ascia è quasi impensabile aprire un cantiere nautico. Quest’ultimo non è solamente un piccolo porto dove ormeggiare un veliero o un peschereccio, ma è un luogo dove si effettua la continua manutenzione di cui hanno bisogno le imbarcazioni, ed è qui che la figura del maestro d’ascia risulta indispensabile e fondamentale perché il cantiere funzioni alla perfezione. Non sa solo riconoscere le costole, i madieri e il calafataggio dell’imbarcazione, ma deve conoscere i venti, i tipi di natanti, i tempi di costruzione e delle fasi di lavorazioni … è una figura di riferimento per tutto il personale nautico.

Sisto nasce come architetto e, in quanto tale non sarebbe in grado di poter insegnare un lavoro tanto complesso che, secondo gli anziani si può imparare solo a partire dall’adolescenza, spiega: «Quando ho fondato la realtà di Officine Maremosso era con l’intento di cercare di recuperare a livello culturale e pratico-lavorativo i mestieri inerenti la carpenteria navale tradizionale. Per fare questo utilizziamo, a parte la ricerca storica – culturale, la trasmissione dei saperi attraverso le memorie degli antichi maestri anziani ancora in vita che sono sul territorio ma anche fuori. Abbiamo instaurato una rete molto importante di collaborazione con i maestri in giro per l’Italia come ausilio per il recupero sociale. La trasmissione di queste maestranze avviene con dei ragazzi disagiati, che hanno difficoltà e che hanno avuto problemi con la legge, o comunque delle comunità a rischio, fornendogli un’alternativa, insegnandogli un mestiere con una formazione nelle tecniche di carpenteria e falegnameria navale che un giorno potrebbero poter usare in una loro auspicabile riconversione mentale e personale».

Sisto ha scritto il progetto incentrandolo sulla riscoperta dei mestieri tradizionali come veicolo di recupero sociale. Officine Maremosso è stato finanziato dalla regione Puglia con un programma di politiche giovanili, PIN, che gli ha permesso nel 2017 di rientrare a Taranto e avviare questa attività. Una frase di Sisto colpisce per la sua determinazione e tenacia con cui porta avanti il progetto insieme al Ministero della Giustizia: «Volevo contribuire al fermento che si stava attivando a Taranto già da diversi anni e quindi applicarlo ad un concetto più ampio della riconversione culturale della città. Volevo mettere da parte le storie ben note del polo industriale dell’Ilva partendo da una caratteristica intrinseca di Taranto: il mare … e conseguentemente la carpenteria navale». Sisto viene coadiuvato dal parroco Giuseppe Marino della chiesa Santa Famiglia di Taranto che con lui condivide la passione per il mare e l’aiuto per il sociale.
«Maremosso» si colloca in un contesto urbano molto difficile del quartiere di Tamburi, il primo avamposto cittadino a ridosso dell’Ilva oggetto delle cronache nazionali per l’alto caso di tumori e danni alla salute causati dallo stabilimento siderurgico. «Dopo un lustro la percentuale di successo del progetto è sbilanciata sul negativo, ma si sa che gli inizi sono sempre la parte più difficile e il nostro è un progetto a lungo termine. Inoltre ci troviamo nel rione di Porta Napoli, un quartiere cerniera tra la città vecchia e il quartiere di Tamburi che rappresenta la zona produttiva e commerciale della prima espansione industriale della città iniziata nella seconda metà dell’Ottocento in concomitanza con l’arrivo della vicina stazione ferroviaria. Qui c’erano i capannoni che costituivano i depositi a servizio della ferrovia, c’erano i depositi dei carri che portavano le merci dalla stazione alla città, le stalle, le officine nautiche e via dicendo. Questa zona è sempre stata a vocazione produttiva, ovviamente pre-stabilimento siderurgico. Negli anni ’60 l’Italsider ha drasticamente cambiato i connotati produttivi della città perché si è passati da un’economia diversificata, mare, agricoltura ed artigianato, ad un’economia di tipo industriale. Conseguentemente Porta Napoli ha incominciato a perdere d’importanza, caduta nel dimenticatoio fino ad arrivare appunto a 4/5 anni fa, quando Maremosso si è insediata in questa area», afferma Sisto.

Porta Napoli con quello che rimaneva delle attività produttive, e la Città Vecchia, di cui fa parte, sono state abbandonate dalle varie amministrazioni locali. Solo da un po’ di anni le cose stanno cambiando. Si stanno aprendo locali notturni, ristoranti e sedi operative di aziende del settore nautico, anche il turismo sta riscoprendo la città di Taranto e l’attenzione mediatica, culturale e commerciale non è solo incentrata sull’Ilva ma ha di nuovo riscoperto Porta Napoli. «La nostra risposta come attività produttiva, culturale e sociale che ha scelto di mettere la propria sede operativa in questo quartiere è stata positiva, la città ha riscoperto questo luogo. Di conseguenza il Comune è stato portato a varare dei piani urbanistici per la riqualificazione dell’area che dovrebbero partire a breve, i vincitori dei bandi per la riqualificazione urbanistica sono stati presentati prima dell’estate del 2021. Ma soprattutto la città si è resa conto di come questo posto, essendo appunto di cerniera e avendo delle caratteristiche molto favorevoli per qualsiasi tipo di attività, stia mostrando negli ultimi anni un fermento socio-culturale-economico che era praticamente inesistente», puntualizza Sisto.

Nella sua specificità fatta di costruzioni industriali e palazzi in stile liberty popolare Porta Napoli sta diventando il polo creativo della città soprattutto in previsione dei Giochi del Mediterraneo del 2026 che si terranno proprio a Taranto. «C’è fermento in città legato a questo evento, il percorso che porta ai Giochi vede in Porta Napoli un nodo fondamentale. Ad oggi ci sono camion ed altri mezzi pesanti che transitano nella zona per la presenza di attività produttive di tipo industriale, ma da previsione del Comune è prevista una riorganizzazione della viabilità interna sul modello della fruizione lenta che renderebbe la zona di Porta Napoli un hub della cultura e delle attività artigiane. Inoltre con la localizzazione di un terminal bus più efficiente che possa poi connettere la città con una viabilità veloce interna a breve distanza. Porta Napoli costituisce l’accesso alla città di Taranto dalla parte del continente e sta rinascendo proprio cercando di divenire la vetrina d’accesso della città», sottolinea Sisto.

I miglioramenti del lato urbanistico sono solo un lato della medaglia. La Città Vecchia è stata lasciata al degrado e in mano alla piccola criminalità da decenni, e il rilancio urbano deve necessariamente andare di pari passo con quello umano. Ma le difficoltà sono appunto quelle di scardinare una mentalità radicata nel territorio che deve andare oltre la visione industriale in cui l’Ilva era vorace di forza lavoro e la visione della piccola criminalità che la fa da padrona nel quartiere. In questo contesto il recupero dei giovani da parte di «Maremosso» e il loro inserimento nel tessuto economico culturale diventano imprescindibili sebbene le difficoltà siano enormi. «Le nostre attività con i ragazzi si basano principalmente su una proposta legata ad un’alternativa, proponiamo un lavoro che possa essere utile un domani, nello specifico è la carpenteria navale e in questo caso diventare maestro d’ascia. In senso lato si basa sulla falegnameria cioè l’acquisizione di competenze manuali che possono essere spese non solo necessariamente in ambiti navali ma anche convenzionali. La risposta dei ragazzi è positiva, i progetti che avviamo sono molto seguiti e partecipati, i ragazzi si appassionano a quello che proponiamo, ad esempio quest’anno dovremmo terminare la costruzione di un piccolo gozzo a vela che rappresenta la conclusione di un percorso triennale iniziato nel 2020», afferma Sisto.

Gli allievi rispondono con entusiasmo perché vengono inseriti in un percorso pseudo lavorativo retribuito, un modo per insegnare il valore del lavoro regolare ed onesto; rispondono bene anche come intenzionalità future ma Sisto mette in evidenza la scarsità delle risorse e dei fondi per i progetti. Il Ministero della Giustizia finanzia i corsi di recupero ma: «La nostra proposta lavorativa si scontra con pochezza del tempo che effettivamente riusciamo ad impiegare con i ragazzi e che porta nel 90% dei casi ad una dispersione nel momento in cui ci fermiamo. Certo, parzialmente è dovuto al fatto che gli allievi di solito sono adolescenti, in una fase della vita in cui si sperimenta tutto e niente è per sempre. Comunque risposte positive ci sono, ad esempio i ragazzi che erano con me nel 2021 avevano iniziato l’anno precedente, ciò vuol dire che hanno risposto positivamente all’esperienza e termineranno il ciclo quest’anno. Avendo fatto in tre anni un monte ore sostanzioso, gli verrà rilasciato un attestato di frequenza con valore di ente di formazione. Superate le 500 ore di tirocinio/lavoro, per la figura di maestro d’ascia l’attestato può essere usato per lavorare in qualsiasi cantiere e questo è importante perché è una carta che possono giocarsi nella vita piuttosto che ricadere nella spirale della criminalità», continua Sisto. Forse in questo frangente è importante fare rete con le autorità pubbliche e le realtà imprenditoriali esistenti che appunto permettano l’inserimento dei ragazzi nei cantieri navali o tradizionali.

Un problema fondamentale che potrebbe mettere a rischio l’architettura dei progetti di «Maremosso» e del Ministero della Giustizia è rappresentato dalla crisi del settore nautico che nel Meridione si fa sentire prepotentemente rispetto alle regioni costiere del nord Italia. Però Sisto rimane positivo e spiega i motivi: «La crisi del settore nautico in realtà è una crisi relativa perché nel campo del diporto, che è quello di cui ci occupiamo, ne risente relativamente poco perché è un mondo fatto da gente benestante. C’è sempre necessità di operai che sappiano come trattare la nautica e lo scafo, è un’esigenza che abbiamo riscontrato in 5 anni che siamo qui ed è costante. I cantieri che ci sono hanno deficit di personale, quindi se i ragazzi avessero intenzione di far valere le competenze acquisite e di spendere gli attestati ricevuti potrebbero farlo e ottenere facilmente un lavoro. Il settore è in crisi, ma è ancora più in crisi di lavoratori! Sono pochi rimasti a saper fare questo tipo di lavori sul legno, per cui un operaio che sia anche un minimo preparato e avviato a questo tipo di lavoro è richiestissimo».

La scelta del nome «Maremosso» è emblematica e Sisto spiega il perché: «Maremosso» nasce da un detto napoletano e che si dice anche a Taranto: con il mare calmo ogni strunz è marinaio (tutti possono improvvisarsi marinai); quindi è nelle avversità che esce fuori il talento, le capacità, la voglia di mettersi in gioco … di andare oltre le difficoltà. L’altra motivazione per la quale ci chiamiamo così è più provocatoria e riguarda il tessuto cittadino: voler essere una realtà che dà una scossa, un movimento nel percorso di riabilitazione e riqualificazione del territorio, riscoperta di competenze e talenti e capacità del fare. Tutto questo deve essere un continuo movimento, non essere mai calmo, così Maremosso».