In Honduras, il Tribunal supremo electoral (Tse) ha autorizzato un nuovo conteggio dei voti per le elezioni presidenziali dello scorso 24 novembre. Secondo i risultati ufficiali, la vittoria è andata al candidato del governativo Partido Nacional, Orlando Hernandez: 37% dei voti contro il 29% all’alleanza di sinistra del Partido Libre, guidata da Xiomara Castro. La moglie dell’ex presidente Manuel Zelaya – deposto con un colpo di stato militare il 28 giugno del 2009 – non ha riconosciuto i risultati, contestando irregolarità per almeno 400.000 voti.

Numerosi osservatori internazionali di reti e organizzazioni sociali avevano denunciato fin da subito l’esistenza di brogli e violenze in un Paese che sconta il più alto tasso di omicidi al mondo (20 in media giornaliera). Di diverso avviso altri osservatori dell’Unione europea e dell’Organizzazione degli stati americani (Osa), secondo i quali tutto si è svolto in modo regolare. Hernandez non ha commentato le denunce di brogli né si è giustificato, ha affermato che la sua è una vittoria legittima e che non intende negoziare con nessuno. Libre – che chiede l’adozione di un sistema elettorale automatizzato come quello del Venezuela – avrebbe voluto una revisione generale dei conteggi, ma il Tse ha autorizzato solo la verifica in singoli centri di voto. E domenica scorsa, l’opposizione è tornata in piazza, sfidando la repressione, per chiedere che venga riconosciuto anche a livello istituzionale il cambiamento in atto nel paese.

Xiomara Castro aveva dichiarato la propria vittoria già poche ore dopo la chiusura delle urne, ma i conteggi finali le sono stati sfavorevoli. «Però abbiamo aperto una breccia», ha commentato Castro dopo la decisione del Tse. Una breccia che, al di là delle elezioni, lascia intravvedere la forza acquisita dai movimenti di opposizione, cresciuta dopo il golpe del 2009. Difficile che, nel perverso intreccio di interessi e poteri altamente illegale che controlla il paese, la destra presente nel Tse e l’ambasciata Usa a Tegucigalpa (la prima a riconoscere il risultato) permettessero la vittoria di Libre. Nel 2009, le timide aperture verso i Paesi socialisti latinoamericani e l’evocazione di un’Assemblea costituente da parte del pur moderato Zelaya ne avevano provocato la defenestrazione.

L’Honduras è ancora un Paese sotto tutela: paradiso delle grandi multinazionali e cortile di casa degli Stati uniti, come testimonia la gigantesca base militare nordamericana di Palmarola. Hernandez, possidente e imprenditore dei media, garantisce la continuità di un sistema di potere che costringe la ricchezza in poche mani e costringe in povertà il 70% della popolazione. «Il capitalismo selvaggio non vuole che i popoli ottengano giustizia, pace ed equità», ha detto Xiomara Castro nel suo comizio di chiusura. E se pure – per ora – con il suo fronte ampio modello uruguayano la candidata di Libre non è riuscita a vincere nelle urne, e a diventare la prima presidente donna del paese, ha mostrato la forza che cresce a sinistra, e che non vuole tornare indietro.