Cultura

Presentato il rapporto Federculture

Tempi di crisi Pochi investimenti pubblici sui beni culturali, continua la crisi delle case editrici, tiene, ma rimane bassa, la presenza del pubblico nei teatri

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 9 luglio 2015

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Si legge sempre meno, l’astensione a teatro raggiunge il 90%, un quinto degli italiani (il 19,3%) non partecipa a nessuna attività culturale, con picchi del 30% al Sud, e in crescita di cinque punti percentuali dal 2010. Gli investimenti pubblici, dopo anni di tagli ai beni culturali e allo spettacolo, come a scuola e università, continuano ad essere il fanalino d’Europa: lo 0,13% rispetto al Prodotto Interno Lordo. Quest’anno il ministero dei beni culturali (Mibact) festeggia per la prima volta da anni, un aumento del finanziamento passati da 1,5 a 1,6 miliardi annui. Ma crollano le erogazioni liberali (-19%) e i fondi bancari (-12%) con i quali qualcuno sperava di rimediare al taglio dei fondi pubblici.

Questo è il macroscenario economico sui consumi culturali in Italia emerso dall’undicesimo rapporto annuale Federculture 2015 presentato ieri a Roma. «La crisi della finanza pubblica locale che negli ultimi anni ha colpito Comuni grandi e piccoli, generando una pesante contrazione degli investimenti, anche nel settore culturale, non sembra ancora superata» si legge nel rapporto. Ci si consola con l’aumento della spesa delle famiglie italiane per cultura e ricreazione dopo due anni di crisi. Secondo il rapporto sono pari a 66,1 miliardi di euro nel 2014, circa 1,4 miliardi in più rispetto al 2013 (+2,1%), contro il -5% del 2013 e il -10% del 2011. Crescono anche i visitatori a musei e mostre (+7,7%), ai siti archeologici e monumenti (+5,8%), seguiti dal teatro (+2,2). Grande è la disparità tra aree geografiche del paese. In numeri assoluti i turisti in tutto il Sud nel 2014 sono meno di quelli arrivati nella sola Toscana, 8,6 milioni.

Dopo Napoli, Roma è la città che investe meno in cultura sia come incidenza della spesa sul totale del bilancio comunale, sia come spesa dell’amministrazione comunale per abitante: quella della Capitale è di 56 euro per cittadino circa un terzo di Firenze dove si spendono 183 euro per abitante. La giunta Marino ha destinato nel 2014 alla cultura il 2,4% del bilancio totale, era circa il 4% nel 2008 e nel 2010 raggiungeva il 4,5%. A discolpa di Marino si possono citare il buco di bilancio, lo strangolamento di una città con l’austerità, il patto di bilancio che Renzi gli ha di fatto imposto, ma certo riuscire a fare peggio di Alemanno non era impresa facile.

In mancanza di una chiara analisi critica dell’austerità, ci si consola con l’auspicio che il «turismo culturale» salvi il paese dell’Expo e del «made in Italy». Dal 2009 al 2013 gli arrivi nelle città d’arte sono aumentati del 14,4%. I turisti culturali hanno speso 12,5 miliardi di euro nel 2014, il 5,6% in più dell’anno precedente. Dati che attestano la «disneyizzazione» irreversibile delle città d’arte come Roma, Venezia o Firenze. Il presidente di Federculture Grossi sollecita a una visione «unitaria» dell’offerta turistica, ma ha anche precisato che la cultura «non è una vetrina, ma è qualcosa che deve servire nella vita di tutti i giorni». Il ministro dei beni culturali Franceschini ha lanciato il suo personale piano per lo sviluppo dell’alta velocità: i super-treni da 80 euro al biglietto dovrebbero collegare Salerno e la Sicilia e Bologna con Taranto. Sempre per permettere ai «turisti culturali» o ai manager di farsi una vacanza in Italia. Non a chi possiede redditi normali a viaggiare, o lavorare, in un paese civile.

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