Il 6 dicembre avrebbe dovuto esserci un’udienza in Cassazione per il processo contro Brega Massone e Presicci, ex primari di chirurgia toracica nella ex Clinica Santa Rita di Milano, accusati di aver causato la morte di quattro pazienti sottoposti a interventi chirurgici non necessari. Medicina Democratica è presente al processo come parte civile.

In precedenza davanti alla Corte d’Appello di Milano vi era stata una condanna all’ergastolo per il primo imputato (già condannato in via definitiva a 15 anni di reclusione per truffa e lesioni nei confronti di altre 80 persone). Al seguito del ricorso al successivo grado di giudizio, la Cassazione aveva rilevato che, sostanzialmente, non vi era stato da parte dell’imputato così condannato una condotta dolosa, da cui il rinvio di nuovo davanti alla Corte d’Appello che in diversa composizione ha indicato una pena ridotta a 15 anni di reclusione.

LA CORTE d’Appello si era a essa conformata, quindi ancora una volta era stato proposto un ricorso in Cassazione del procuratore Generale e degli avvocati degli imputati. Il 6 dicembre sembra però che non ci sarà nessun dibattito, perché da parte degli avvocati penalisti è in corso un’astensione dalle udienze della durata di 5 giorni.

Il motivo riguarda la legge che sarà vigente dal 1 gennaio 2020 modificando i termini di decorrenza della prescrizione, che resterà in vigore non oltre il primo grado di giudizio. In altre parole: ci potrà essere ricorso in appello delle parti interessate, ma la prescrizione non potrà più essere calcolata includendo i tempi dei gradi di giudizio successivi. Perché gli avvocati penalisti vogliono mantenere la prescrizione? Per inciso: il processo per la ex Clinica Santa Rita è iniziato nel 2009.

FACCIAMO un altro esempio. Eravamo presenti, come associazione costituita parte civile alla sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione il 19.11.2014 (n. 7941/2015) nel processo Eternit di Casale Monferrato, che ha dichiarato la prescrizione dei reati contestati al responsabile della multinazionale, il magnate svizzero Stephan Schmidheiny. C’erano in campo 2897 parti offese, di cui 1800 deceduti per esposizione all’amianto. Difficile dire che senza condanna e risarcimento i loro diritti siano stati garantiti. E per quanto siano passati anni, la ferita è tutt’altro che chiusa.

Da allora ci siamo battuti per limitare i termini del calcolo di prescrizione dei reati, segnatamente per quelli ambientali e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, e con il senatore Felice Casson, da noi conosciuto quale Pubblico Ministero nel processo contro il Petrolchimico di Marghera, avevamo visto l’opportunità di richiedere al legislatore di sospendere e/o bloccare la prescrizione dopo il primo grado di giudizio.

SIAMO QUINDI stati contenti quando è stata approvata la legge 3 gennaio 2019 n. 3. Abbiamo poi visto che vi è stata una certa opposizione, addirittura un primo sciopero degli avvocati penalisti contro i suoi contenuti. Per la verità, questa reazione non ci ha stupito.

Essendo stati parte civile in diversi processi riguardanti la sicurezza nei luoghi di lavoro, con specifico riferimento al tema dell’esposizione all’amianto, abbiamo ben visto come gli avvocati della difesa operino per allungare i tempi dei processi, arrivando così alla dichiarazione di estinzione dei reati per intervenuta prescrizione, pur in presenza di responsabilità evidenti.

NON COMPRENDIAMO come vi sia chi sostiene che il blocco della prescrizione possa allungare i tempi dei procedimenti. È certamente vero che la durata dei processi è, in molti casi, eccessiva, ma che c’entra la prescrizione?

Per ridurla occorrerebbe che il ministro della Giustizia, il Governo e il Parlamento prendessero concreti provvedimenti, che sono già stati da molti indicati, al fine di implementare il personale per ottenere una migliore e più efficiente organizzazione della macchina giudiziaria.

DEL RESTO nel processo civile l’istituto della prescrizione opera già con gli effetti voluti dalla nuova legge in campo penale e nessuno si è mai sognato di criticare tale scelta.

Se dopo il primo grado, non ci fosse più la prescrizione, l’imputato (oltre alle vittime del reato) sarebbe ben contento di arrivare al più presto a una sentenza definitiva, al di là della sofferenza per il reato commesso (se la sentenza fosse di condanna). È vero che la prescrizione non è l’assoluzione, ma nel senso comune ad essa equivale.

INDIPENDENTEMENTE dall’ideologia politica sposata, il coraggio della verità sta proprio nel non rincorrere arcaici istituti processuali, (si pensi infatti che in molti paesi europei la prescrizione decade al primo grado di giudizio) non più compatibili con i tempi della nostra giustizia che vanificherebbero la pretesa punitiva della Stato a discapito delle vittime di questi odiosi reati posti in essere nei luoghi di lavoro.

*Responsabile vertenze giudiziarie di Medicina Democratica, Movimento di Lotta per la Salute